Amok dei Sentenced ne fa 30
La carriera dei Sentenced ha seguito una traiettoria simile a quelle di altre band death metal nate alla fine degli anni Ottanta, con un progressivo alleggerimento del sound che ha volutamente e completamente stravolto l’idea iniziale. Nel loro caso, un album in particolare ha fatto da spartiacque: ci sono un “prima” e un “dopo”, ma voglio soffermarmi sul “durante”.
Amok compie 30 anni il 3 gennaio 2025. Taneli Jarva, cantante e bassista, ne compì 20 il giorno dopo la pubblicazione dell’album, l’ultimo del suo percorso coi Sentenced. Al netto delle motivazioni che lo portarono a lasciare la band, penso che Amok sia una specie di miracolo, un lavoro che anche oggi suona innovativo, fresco, e al contempo classico quanto basta, e sono anche sicura che ai tempi nessuno dei membri della band fosse minimamente consapevole del suo valore. La voce di Jarva è, come dice lui stesso, un “acquired taste”: non piace a tutti, ma è proprio uno dei tanti punti di forza, e si è anche constatato in tempi recenti come la sua timbrica sia “invecchiata” più che bene (mi riferisco a Post Festum, album pubblicato a nome T.Jarva & The Dark Place all’inizio del 2024).
Dal death metal di North From Here ad Amok ci sono giusto un paio d’anni, un contratto con la Century Media e i cambiamenti repentini, tragici, quelli che solo in tarda adolescenza possono avere un simile impatto. Il titolo dell’album è, inoltre, l’anagramma di “moka”, che in finlandese significa “gaffe”, scelto da Jarva anche per questo motivo, perché, a detta della band, era l’ultimo chiodo sulla bara.
L’unicità di Amok sta nell’equilibrio di elementi apparentemente inconciliabili, dove il death melodico che stava giusto facendo capolino in quegli anni va a braccetto con spunti rock ed heavy metal. Il filo conduttore è, di nuovo l’incredibile talento compositivo di Miika Tenkula, compianto chitarrista della band, senza il quale probabilmente i Sentenced sarebbero più o meno passati inosservati. Sei dei nove brani portano la sua firma. La conclusiva e strumentale “The Golden Stream Of Lapland”, per esempio, avrebbe dovuto avere una parte cantata, ma Jarva all’epoca non la volle “rovinare”, totalmente rapito dalla sua bellezza fin dal primo ascolto.
L’album comincia col botto, letteralmente: il sonoro del film “Tuntematon Sotilas” (trad. “Il Milite Ignoto”, tratto da quello che si può definire come il principale romanzo di formazione per i finlandesi) apre “The War Ain’t Over”, le chitarre si innestano perfettamente in quello scenario e – è bene segnalarlo – Jarva in sede live saliva sul palco declamando il grido di battaglia che si sente su disco, traducibile come “colpisci forte, figlio del Nord!”.
Il processo creativo vide l’alcol come grande protagonista, elemento fondamentale anche nella stesura di testi che – a differenza di tanti altri dell’epoca – hanno però una componente filosofica, introspettiva e riflessiva non indifferente (“New Age Messiah” ne è un esempio lampante). Ottima, tra l’altro, la padronanza dell’inglese da parte di Jarva, cosa che pure non va data per scontata.
“Nepenthe” è una vera apologia dell’ubriachezza: bevi per dimenticare e annegare i tuoi dolori, seppellisci i tuoi sogni e scegli la catarsi. Ciononostante il brano, nella sua maestosità, parla anche di senso di perdita e di vendetta, e la voce di Jarva non sembra affatto quella di un ventenne, ma dà l’impressione di provenire da chi ha già vissuto due o tre vite. Il riff principale è liberamente ispirato a “Under The Runes” dei Bathory, per quanto in quel momento non fosse un’influenza consapevole per l’autore, Tenkula. Alcuni ricorderanno il video di “Nepenthe” (e il ruolo dei video musicali negli anni Novanta, dei veri e propri pilastri per la promozione di un album): oggi risulta un po’ “cringe”, come dicono i giovani, ma ha il suo fascino.
“Forever Lost” porta la firma del chitarrista Sami Lopakka, sia sulla musica, sia sul testo. È un brano incalzante con una spiccata componente rock ed heavy metal nel senso più classico e “maideniano” del termine, di cui forse a lasciarmi perplessa è solo la voce femminile. La sfrontatezza post-adolescenziale già presente in North From Here è palpabile, ma in una forma più matura, per quanto possa suonare come un controsenso.
Si avverte una forte influenza di Glenn Danzig e la sua band sui brani scritti da Jarva, aspetto che quest’ultimo approfondirà in seguito coi The Black League, e ancora prima con l’ep Love&Death, sua ultimissima uscita coi Sentenced, pubblicato nel 1995.
Su “Funeral Spring” si può chiaramente sentire un residuo della prima sessione di registrazione, durante la quale sempre Jarva pare fosse particolarmente ubriaco. Racconta che ri-registrò la voce dopo aver assistito a un concerto dei Type O Negative a Helsinki: sul treno che lo riportava a casa si era crogiolato nella sua autocommiserazione per non essere Peter Steele, decidendo di rifare tutte le parti cantate. È lecito pensare che sia anche un po’ merito di Steele e soci se la voce su Amok sia così, ne siamo loro grati.
Amok, nella sua unicità, resta uno degli album di transizione più coraggiosi e promettenti mai concepiti nel panorama metal. Non posso fare a meno di chiedermi come sarebbe andata se Jarva non avesse lasciato la band, ma va bene anche così. I Sentenced si sono definitivamente sciolti nel 2005, dopo un cambio di frontman, una significativa virata stilistica e la consacrazione, specie in patria, a simbolo della “finnicità”, tanto che nel 2015 è addirittura stato pubblicato un libro su di loro, “Täältä Pohjoiseen – Sentencedin Tarina”, scritto da Matti Riekki, tradotto poi in inglese col titolo “North From Here – The Sentenced Story”.
I brani di Amok suscitano tutt’oggi emozioni forti, privi di retorica spicciola e soluzioni melodiche melense o banali, e credo anche che, a trent’anni dalla pubblicazione, sia ancora un album molto apprezzato, nonostante una produzione in retrospettiva discutibile e qualche difetto dovuto alla giovane età di chi l’ha scritto, ma preferisco mettere le cose in prospettiva e inglobare i suoi difetti in quel senso di autenticità e genuinità che lo permea dalla prima all’ultima nota.