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ALVA NOTO / FENNESZ, “Continuum” – In the spirit of Ryūichi Sakamoto

foto di Cosimo Trimboli

Roma, Auditorium Parco della Musica, 17/11/2024.

La chiusura dopo 70 giorni d’intensa programmazione del RomaEuropa Festival è stata soprattutto un omaggio all’eredità artistica di Ryūichi Sakamoto, reso da due musicisti che con il compositore giapponese avevano fattivamente collaborato: la coppia tedesca Alva Noto/Christian Fennesz. È stata anche l’occasione per fare un bilancio di questa manifestazione dal taglio e dal potenziale unico nella Capitale, che il prossimo anno raggiungerà il traguardo delle 40ma edizione: 700 artisti da tutti i continenti, 300 live set e oltre 60000 presenze costituiscono, per una città in verità non sempre così attenta alle proposte culturali più sperimentali e avventurose, un risultato decisamente positivo e in prospettiva un ottimo trampolino di lancio per l’edizione 2025, che ci aspettiamo ancor più ricca e trasgressiva.

Il rapporto di Ryūichi Sakamoto con Roma, anche attraverso il REF, è stato di frequentazione e reciproco, incondizionato amore. Il concerto a lui dedicato da Noto e Fennesz (“Continuum in the spirit of”) è una creazione tutta nuova, che muove da sedute di registrazione in vista di una prossima uscita discografica e non rielabora musica preesistente. Riflettendoci su, risulta evidente la difficoltà di tributare un individuo tanto originale e riconoscibile senza usarne lo stesso metro poetico e piuttosto intraprendendo un’ora di musica in Continuum, appunto, semplicemente sommando la chitarra di Fennesz alle macchine di Noto, senza dare all’insieme alcuna direzione, alcun senso lirico. Quel che in realtà molti temevano è avvenuto, e diciamo che se l’immagine di Sakamoto non fosse infine apparsa sul mega display disposto sul palco, non sarebbe trapelato nulla di lui. Anzi, se proprio vogliamo dirla tutta, dopo circa 20 minuti di concerto si erano diffuse sequenze e battiti con qualche “anima”, ma ricordavano l’incipit del brano di David Bowie “Warszawa” (da Low del 1977)! Un’algida, gelida sequenza di frasi digitali immerse nella totale assenza di cuore e anima, appunto, che evidentemente in questo specifico contesto è imperdonabile, ma del resto ci sembra che da qualche anno sia Noto sia Fennesz riposino sugli allori, raccogliendo oggi gli innegabili frutti di un passato ormai quasi-remoto. In musica non tutto si può fare, specie con gli “omaggi”: certe sonorità rarefatte – aspre o stridenti che siano – viaggiano nello spazio incontrando la nostra sensibilità (o non incontrandola come in questo caso) e si intrecciano ad assunti filosofici, metafore poetiche, interrogandoci nel profondo. Questo, raramente certo, può accadere, e Ryūichi Sakamoto con le sue composizioni è stato capace di farlo succedere davvero fino all’ultimo: riascoltare il suo album 12 (2023), dove di suo rimane una filigrana in controluce, è stato un modo per esorcizzare questa occasione mancata.