ALVA NOTO, 28/1/2012
Bologna, Locomotiv Club.
Serata ideale, questa del Locomotiv, che registra il tutto esaurito per Carsten Nicolai aka Alva Noto. Lo diciamo perché il tedesco è il perfetto trait d’union tra il linguaggio della musica e quello dell’arte contemporanea. Chissà, forse per sopperire anche alla mancanza del Netmage (che però tornerà ad aprile con un nuovo nome e una fusione col festival della danza contemporanea F.I.S.Co.), i tipi di Electric Priest e del locale felsineo colgono la palla al balzo per invitare questa figura importante per tutta la musica elettronica dell’ultimo decennio almeno. Infatti c’è il pubblico delle grandi occasioni, anche quello che nel pomeriggio era in giro per gli stand di Arte Fiera, oltre alle solite facce note. Sono le 23.45 circa e, dopo qualche incertezza tecnica, fa la sua apparizione l’autore di molti lavori usciti per la (anche) sua Raster-Noton, che ha collaborato con il gotha della musica contemporanea: Scanner, Ryoji Ikeda e Blixa Bargeld, per dirne alcuni. Ci rendiamo subito conto di aver perso, forse, l’esibizione di Alessandro Bocci (ex dei fondamentali bolognesi Starfuckers) nel suo nuovo progetto Backslash, ma tant’è, in fondo è per l’uomo elegante, impomatato e dagli occhi di ghiaccio che siamo qui.
Live breve, circa un’ora, fatto di sciabolate electro davvero nerborute, tra rimandi anche a certo noise-rock (lì dove i suoni del synth di Martin Rev si scontrano con le pose industrial di un Trent Reznor) e architetture rigidissime al limite dell’ortodossia techno. La cosa bella è che Noto non è niente di tutto ciò, ovvio, ma fa sue tutte queste istanze con una maestria e una sicurezza quasi d’altri tempi. A volte sorride pure sornione davanti al pubblico in moderato visibilio. La nostra ammirazione cresce col passare dei minuti, la prova non ha cedimenti ─ l’acme si registra col ruffiano speech di Anne-James Chaton, che elenca situazionista in “Uni Acronim” ─ e notiamo una volontà di esibire un monolite elettronico tanto cattivo quanto efficace nella sua missione ultima, quella di misurarsi con i limiti espressivi di un uomo-macchina che tanto deve ai Kraftwerk e alla techno più coriacea. Nicolai ha altresì il coraggio di conciliare sapori cinematici ─ ottimi alcuni passaggi dal forte sentore “kubrickiano” ─ e reminiscenze decisamente “arty”. Immaginate i Daft Punk costretti a suonare una formula ibrida di avant-techno intrappolati in una fonderia, persi nei clangori delle macchine, a reiterare paesaggi sonori degni di film come Robocop… questo solo per darvi un’idea piuttosto sommaria di quanto è avvenuto in questa bella serata.
Grazie a Emanuele Rosso per la foto