ALOS, Embrace The Darkness
L’uomo, da sempre, ha paura di ciò che non conosce. L’uomo, da sempre, si è messo in testa di essere in qualche modo superiore alla donna. L’uomo, non appena si è sentito minacciato da pratiche femminili a lui incomprensibili, ha chiamato strega chiunque operava su una materia mistica, ambivalente, oblique e misteriosa.
Le streghe sono creature fantastiche ed ALOS, Stefania Pedretti, è una di esse. Con Embrace the Darkness ALOS porta a termine un percorso iniziato 20 anni fa, un percorso di vita, un percorso che negli ultimi anni è stato segnato da un brutto male, un percorso che, come un vulcano, non ha mai smesso di covare né di esplodere. Durante una residenza artistica sull’isola di Stromboli prende vita un rituale che nasce e cresce libero, ma viene anche impresso su disco e sulle pagine di un libro. Potremmo anche chiuderla qui come recensione, che già par di aver detto a sufficienza, ma.
Ma c’è il suono, c’è la voce, c’è una musica che molti, moltissimi non riconosceranno come tale e per loro mi dispiace. Ci sono un’ugola, una bocca, una gola e il corpo come cassa di risonanza. Ci sono sei brani, che evocano con i loro titoli scene delle quali non siamo a conoscenza. Il rantolo di Stefania sembra il verso di una creatura fantastica o di qualcosa che ormai è scomparso. La bellezza di questo disco – e di ALOS – è invece il suo essere reale, tangibile, ascoltabile dal vivo subendone il fascino straniante, sentendo trasfigurati gergo e versi in maniera mai macchiettistica bensì estremamente personale ed unica. Le sei tracce di Embrace The Darkness sono rappresentative di luoghi, presenze, fenomeni: “Iddu”, l’isola; “Grotta Di Eolo”, luogo dove il dio dei venti racchiuse le arie domate; “Mahare”, le streghe delle Eolie; “Ananke”, la dea che tesse il destino; “La Sciara Del Fuoco”, dove resiste la colata. In questi luoghi il rantolo e il respiro di ALOS come fosse un mantice. La si immagina muoversi piano, fendendo l’aria con movimenti euritmici nati dalle viscere del terreno, ferina. Quando poi il substrato sonoro si sveglia sembra lo faccia alzando la coda, attivando cortocircuiti e correnti. Si sentono il mare, la violenza della natura e la roccia che resiste, ospitando su di sé un rituale mai scontato e a tratti violento, tanto che alcuni singulti ci portano a temere per la salute dell’artista e per la continuità dell’opera. A vincere, però, alla fine pare sia la forma umana, che ritroviamo a suonare con un bastoncino quello che sembrerebbe uno strumento metallico, fra insetti e volatili. Quando la conclusione del rituale pare avvicinarsi si sente come il lavoro di sottrazione del sottofondo lasci il primo piano alle azioni: i rintocchi, i percorsi di oggetti, manufatti e superfici che suonano e risuonano in una lingua tutta loro, unici come unica è Stefania Pedretti, ALOS, che se ne va cantando, oseremmo dire felice.