Almanacco di domani #7
Dischi di passaggio tra il vecchio ed il nuovo anno, una raccolta di suoni per prepararci al meglio alle novità del 2019.
ALBUM
AMBIENT / HOUSE / JAZZ
ULTRAMARINE, Signals Into Space (Les Disques Du Crépuscule)
La creatura di Paul Hammond e Ian Cooper continua la sua evoluzione pubblicando il settimo album in studio a sei anni di distanza da This Time Last Year. Alfieri di un suono bastardo e inclusivo che flirta in continuazione con il folk, con il jazz e con l’ambient partendo da sporchi canovacci techno e house, gli Ultramarine hanno scritto la loro storia attraverso brani in grado di cavalcare indenni i decenni. Impossibile tentare di circoscrivere generi e dare definizioni, visto che all’interno dei loro dischi si è trasportati da smaltati gigli balearici a caleidoscopiche visioni techno. Mai un passo falso, ogni loro disco un enorme bacino dal quale attingere per soddisfare la propria sete di creatività. Accade ancora con questo nuovo Signals Into Space, doppio album in vinile e cd, corredato, nel solo bundle in vendita sul sito dell’etichetta discografica, da un ulteriore cd – intitolato Meditations – contenente due lunghissimi brani ambient.
Tutto ha inizio con le emanazioni esoteriche di “Elsewhere”, seguite da “Spark From Flint To Clay”: entrambe sono oscure con i loro arpeggi bagnati dagli ‘80 ed intrisi di rumoristica sofisticata; nel secondo brano anche un primo accenno alla voce di Anna Domino che ricorda in alcune inflessioni quella di Róisín Murphy. “Breathing” vira mirabilmente verso il jazz, a cominciare dalle percussioni e da un pathos generale che ci proietta inevitabilmente in quei tramonti balearici sempre omaggiati dal duo. “Arithmetic” è tribal house tenebrosa, con un punto di luce – ancora – nella voce della Domino, mentre “If Not Now When?” torna sull’ambient (con una speziatura dal profumo funk a inebriare l’aria) e “$10 Heel” offre uno scorcio jazz vocale tra clap e percussioni di Ric Elsworth, ed il sax di Iain Ballamy. Il terzo lato si apre con la chitarra ed il vibrafono di “Du Sud”, meraviglia ambient bagnata dai Mari del Sud che introduce un secondo brano sulla stessa lunghezza d’onda (“Equatorial Calms”) e culmina, in una sorta di micro-trilogia, nel tremore del sax di “Sleight Of Hand”. La side 4 è divisa tra il jazz soporifero di “Framework”, l’house exotica di “Cross Reference” e l’ennesima perla balearica che dà il titolo all’album. Il bonus cd Meditations ci regala invece due corpi ambient mutanti che iniziano con riferimenti gamelan per poi incorporare new age e soundtracking in un connubio di stile ed eleganza superbo.
ELECTRO
E.R.P., Afterimage (Forgotten Future)
Questo è uno di quegli album che attendi per tutta una vita. Gerard Hanson si è lasciato pregare, l’ha tirata così a lungo che risultava difficilissimo crederci in quel mattino del 12 dicembre scorso, quando la neonata Forgotten Future – figlia della Mojuba Records – annunciava, mettendolo direttamente in vendita, il debutto del progetto E.R.P. (Event Related Potential). Per gli amanti del lato più melodico e sognante del suono electro gli ep pubblicati da Hanson nel periodo che va dal 2005 al 2011 sono una delle rappresentazioni più alte di quella fluida emanazione futuristica che ha avvicinato le distanze tra mente e cosmo, dischi che sin da subito fecero sperare in un album che sugellasse quello strepitoso momento creativo. Afterimage arriva invece dopo un lunghissimo periodo di incubazione, in un modo talmente immediato, diretto e inaspettato da farci traballare, e una volta fatto partire il lettore ecco che lo spazio e il tempo tornano magicamente ad annullarsi per far largo alla sconfinata potenza del suono. Otto brani intensi e luminosi, forti del miglior apparato melodico che possiate immaginare, un unico viaggio a tinte calde con le tastiere a imprimere quel malinconico marchio di fabbrica, amalgamato alla perfezione con i ritmi lenti di chi ama godersi ogni istante. Una traiettoria rimasta invariata nel tempo. Hanson non dedica spazio alla sperimentazione, preferisce ricollegarsi a quel flusso interrotto tempo prima per tornare a raccontare storie che toccano il cuore utilizzando un’arma difficilissima da maneggiare: la semplicità.
HOUSE
MELCHIOR SULTANA, Deeper Than It Sounds (DeepArt Sounds)
Melchior Sultana è un musicista maltese attivo in ambito house da più di un decennio: molti i singoli e ben cinque album all’attivo, se andiamo a sottrarre lo splendido split realizzato insieme a Deep88. Ha ben chiara la lezione deep dei primi anni Novanta (tanto quella di matrice italiana, quanto quella statunitense) e ha il pregio di aver saputo assorbire i tratti peculiari del genere per elaborare un percorso stilistico aderente a quelli che sono i suoi stimoli e le sue pulsioni.
Deeper Than It Sounds viene pubblicato dalla svizzera DeepArt Sounds, costola della Moto Music fondata da Dan Più insieme a Roberto Pistolese. Qui la materia house è trattata in modo estremamente profondo e sensuale senza scadere mai (cosa per altro per nulla facile) in semplicistiche derive da compilation estiva. La musica di Melchior Sultana ha un’anima ben radicata in un corpo in fiamme, ardore che genera brani intensi e ricchi di groove e melodia, frutto dell’uso equilibrato e funzionale di strumenti e tecniche, oltre che di una visione d’insieme del lavoro solida e ben progettata. Nella fase di intro di questo nuovo album veniamo subito sedotti dal crescendo deep di “What’s That Bass”, che utilizza una semplice linea di basso per far evolvere uno scambio cassa-rullante fino all’ingresso di una tastiera compressa che ricorda il suono di alcune produzioni di Dam Funk. Il secondo brano, “Dusty Guitar”, è un omaggio ai colori del Mediterraneo, con il suono della chitarra a volteggiare leggiadro sulle onde marine per poi infrangersi sul primo bolide fiammante che prende il nome di “Free”, con i bassi cupi a tessere il ritmo mentre pad e voce settano il registro nelle alte sfere. In “Romance” il piano è l’attore principale, mentre il basso fa uno sporco lavoro nel sottosuolo, il tutto arrangiato con classe e semplicità. “Voyage” è estasi ed elevazione, con i synth a far festa a bordo di una navicella sorretta dal groove. “Night Smoke” è un taglio arcigno e notturno con avvolgenti sfumature dub, mentre la d-side è divisa tra le memorie del suono newyorkese di “Illusions” e la spirituale chiusura di “Overdriven”. Un album che fissa alcuni punti chiave della musica di Sultana, tra i quali spiccano in maniera netta la capacità di elaborare stesure melodiche emozionanti, un misurato ed equilibrato senso ritmico e degli arrangiamenti che rendono eleganti e patinate le sue composizioni.
HOUSE / TECHNO
PASSARANI, W.O.W. (Offen Music)
Marco Passarani torna al formato album in solitaria ben quattordici dopo Sullen Look (Peacefrog Records, 2005) e lo fa componendo otto brani nuovi, che – da quanto si apprende leggendo le sue recenti interviste – sono nati grazie a una una serie di stress test di una nuova postazione di lavoro nello studio che divide con Valerio Del Prete (metà del progetto Tiger & Wood). Materiale poi proposto alla Offen Music di Vladimir Ivkovic, etichetta che esordì nel 2015 con il bellissimo album di inediti di Rex Ilusivii intitolato In The Moon Cage. Volendo fare un primo raffronto con Sullen Look, appare evidente come questo nuovo W.O.W. arrivi subito dritto al punto, senza preamboli o virtuosismi di sorta. L’impressione è proprio quella della ricerca di un risultato concreto senza distogliere l’attenzione dal focus sul groove. Volendo continuare nei paragoni possiamo quindi dire che la musica contenuta in questo album è più vicina ai singoli pubblicati dalla Pigna Records e alla sua estetica generale che non al precedente album, che conteneva pezzi a mio modo di vedere più aperti a soluzioni molto differenti tra loro. W.O.W. è una sfilata di groove scintillanti, dinamico e funk come i dj set di Passarani, anche se ovviamente portavoce delle sue numerose influenze personali, dall’house al funk passando per l’italo disco e la techno. Un consolidamento di idee realizzato con disinvoltura, in maniera naturale, dote che può appartenere soltanto a chi ha metabolizzato ed è quindi un tutt’uno sia con la questione puramente musicale che con quella tecnologica.
Il disco parte con l’electro atmosferica di “Coldrain”, che mostra un grande arrangiamento tra rullante, linea di basso e pad in un mood ambientale-carpenteriano molto suggestivo. In “Cydonia Rocks” esce fuori quel lato soul che appartiene da sempre a Passarani, una commistione di house e techno in tra loro equilibrio grazie alle imponenti partiture melodiche che inevitabilmente generano memorie di “Galaxy to Galaxy” e “Raiders Of The Lost ARP”. “Drumy Dream” è dance scientifica con beat assassino e synth aciduli che inizia con fare sognante per poi irrigidirsi e picchiare giù duro. “Get Down” spinge ancora di più sulla Chicago House più scarna e minimale. “Innowave” vola verso vette italo-space per poi tornare in house con “Minerals”, mantenendo un parco suoni circoscritto e omogeneo. “Talk To Me” è computer-game dance music con il charleston a scandire il ritmo prima di ripiegare su un finale nebuloso e sul brano di chiusura, “Strings Fair”, con il suo basso vibrante e quell’intreccio di accordi celestiali.
Il gradito ritorno di un groove globale che tributa in maniera rispettosa il passato proponendo una personale visione dell’universo dance, perfetta fusione di tutte le influenze che lo hanno formato.
AMBIENT / ACID
YOUR PLANET IS NEXT, A New Smile (Mixed-Up)
Arvid Wretman da Stoccolma, alcuni album già pubblicati e divisi tra cassette e vinili, suono sporco, acid, house con taglio europeo e cuore funk, poco affine a catalogazioni o formalismi di sorta, lo si evince buttando un ascolto al suo storico musicale che ci racconta di qualcuno sempre accorto sulle melodie e più in generale sul mood, meno sulla forma. Un bene di questi tempi, perché le buone idee sembrano provenire tutte dai canali meno ortodossi. Non fa eccezione questo nuovo album per l’italiana Mixed-Up, sei pezzi che mostrano in maniera piuttosto esplicita tutta la sua passione per l’acid e in particolare per il suono della bassline, che utilizza e adatta per qualsiasi tipologia di brano, dalla bellissima apertura ambient intitolata “Eternal Return” alla virata deep della title-track, con il suo gioco sporco di batteria elettronica, passando per le strambe traiettorie downtempo di “Huggteknik” o per l’ipnotico tunnel acid house di “Molten Smile” con i suoi omaggianti riferimenti a Chicago, pur mantenendo un feeling puramente europeo. “Trainspotting” è ancora un taglio ambient atmosferico che sembra resettare completamente il disco, che ci saluta con le emozionanti note di “Powernap”, dove organo, 303 e batteria elettronica jammano insieme in una composizione stralunata. Un grande ascolto, un musicista da scoprire.
AMBIENT / DOWNTEMPO
PULSAR, Empty (Rous Records)
Otto brani che segnano il debutto del giovane Leonardo Pucci da Foligno, su un’etichetta fresca come la Rous Records che mi rendo conto solo ora aver debuttato con un album del pianista Giovanni Guidi, anche lui folignate. Quella umbra è una cittadina in pieno fermento, che si prodiga ormai da anni nella valorizzazione delle arti musicali e non.
Empty, firmato con il moniker Pulsar, si presenta con la genuina spontaneità dei primi album di Ulrich Schnauss, coniugando sonorità ambient e post-rock in un mood malinconico che lascia affiorare memorie di vecchi viaggi Kranky o City Centre Office. Leonardo Pucci se vogliamo va anche oltre: nell’ultimo brano dell’album (il cui titolo non poteva esser più aderente: “Wormhole”) mette in scena forti contaminazioni jazz in un vortice free dove il clarinetto di Dan Kinzelman compie mirabolanti acrobazie tra cut-up vocali e un incendio di suoni elettronici, aprendo appunto un cunicolo spazio-temporale verso nuove, sconosciute destinazioni. Il cuore dell’album è invece un profondo apparato melodico tenuto insieme con la classe di un veterano, assemblando oscuri e voluminosi pad con delicate note di piano, elevazioni sintetiche, arpeggi prorompenti ed eleganti e voluminose suonate di basso. Le partiture ritmiche coprono un raggio d’azione molto ampio che va da delicati frammenti glitch ad affondi progressivi che ben si sposano con gli accordi più psichedelici del disco. È un infinito e commovente tramonto nel quale gli intensi toni arancio del cielo si spengono man mano, lasciando spazio all’oscurità della notte in uno di quei rari e sensibili abbracci che vi sapranno cullare fino al termine del vostro ascolto.
EXPERIMENTAL
AA.VV., Sleepers Poets Scientists (CES Records)
Nove giovani produttrici georgiane con in comune il fatto di aver partecipato al corso di “Music Production” tenuto al CES (Creative Education Studio) da Natalie Beridze (una delle artiste elettroniche georgiane più conosciute), la quale, soddisfatta dell’andamento dei suoi insegnamenti, decide di raccogliere il frutto di questi studi premiando le allieve più talentuose con questa raccolta che dà vita all’omonima etichetta discografica CES Records. Il risultato è oltre ogni aspettativa, perché il ventaglio stilistico presentato in questo doppio vinile offre un bagaglio di suoni eterogeneo ma allo stesso tempo ben legato da un concetto che mette al centro di tutto l’ascolto. Senza soluzione di continuità, infatti, passiamo dalle piccanti atmosfere baleariche di “+995”, firmata da Anushka Chkheidze, all’easy listening in chiave hip hop/jazz della successiva “Monument” di Katie Eristavi feat. Dea Bezhuashvili, o ancora all’ambient solforosa e caustica di “Sleepers, Walkers, Scientists” di Anushka Chkheidze. Ancora beats hip hop per “Snow Queen”, splendida nel suo andamento setoso. Dentro anche la stessa Natalie Beridze con un brano, “Girl Galaxy”, che è un omaggio ad atmosfere UK di artisti come MuZiq o Aphex. Molto evocativo il raddoppio di Anushka Chkheidze con un brano ambient atmosferico che punta sullo strampalato suono della batteria e su una melodia cupa in “The Old Man And The Sea”. In chiusura il brano “Queen Size”, otto minuti di libertà che sembrano ricreare sensazioni di vecchie library italiane e paiono ispirati dalla musica di Egisto Macchi. Un ottimo progetto che inizia con un invidiabile biglietto da visita.
TECHNO / AMBIENT
PLACID ANGELS, First Blue Sky (Magicwire)
John Beltran riesuma il suo pseudonimo Placid Angels, con il quale nel 1997 ci aveva regalato il magico The Cry per la Peacefrog Records, disco che andava a completare il discorso iniziato con i due album Earth & Nightfall e Ten Days Of Blue, rispettivamente su R&S Records e su Peacefrog. Musica techno profondamente ispirata, melodica ed emozionante, solida rappresentazione di quel connubio tra Detroit e Regno Unito che univa la potenza di nuovi apparati ritmici alla seduzione delle melodie. John Beltran nel periodo che va dal 1995 al 1997 ha rappresentato quanto di più emozionante la techno abbia saputo creare.
Da periodo d’oro sono passati molti anni e tantissima altra musica, talvolta ispirata, in altri casi meno, fatto sta che oggi Beltran torna a riaprire quel capitolo tornando con un nuovo album firmato Placid Angels, ventidue anni dopo quel disco d’esordio, e lo fa con lo spirito di chi vuol metter da parte il lato nostalgico della questione ma soltanto tornare a concentrarsi sulla melodia e sul ritmo, proponendo nuova musica che possa avere un filo conduttore con la precedente e, perché no, compiere anche un balzo in avanti. L’esperimento riesce a meraviglia, perché se è vero che per creare questo nuovo First Blue Sky il musicista ha scelto suoni che gli hanno permesso di tornare su quella lunghezza d’onda, lo è altrettanto il fatto che in alcuni dei brani proposti sono presenti soluzioni stilistiche di più recente concezione che ben si adattano al contesto generale dell’album. Aspettatevi quindi un’ondata di melodie calde, sostenute da ritmiche spezzate e pad vaporosi, preparatevi ad accogliere elementi vocali pitchati che abbracciano l’universo drum’n’bass e/o burialesco come nell’esemplare brano “Vent”. Beltran è un fiume in piena, sembra non aspettasse altro, riversa nella sua musica tutto quel bagaglio di intimità proprio di chi vuol condividere delle idee ottenendo l’unico vero risultato entusiasmante, quello di tornare a emozionare. Poco altro da dire, se siete già entrati in questo mood, siate pronti a godervelo di nuovo.
DEEP HOUSE / AMBIENT / TECHNO
METRIC SYSTEMS, People In The Dark (Best Effort)
La riscoperta della scena techno e house australiana è stata al centro di una delle ondate di hype che negli ultimi anni hanno colpito il business legato alla dance. Certo è il fatto che l’estremo continente ha molto da raccontare e da insegnare ai giovani che si cimentano in questi circuiti. Dall’ambient alla techno, all’electro e all’house sono stati molti i dischi riscoperti e gli artisti rilanciati. Gli stessi musicisti che durante gli anni Novanta avevano prodotto perle rimaste sconosciute troppo a lungo hanno ora ripreso la loro attività, pubblicando dischi nuovi e ristampe: un nome su tutti è quello di Ewan Jensen. In quel sottobosco musicale, però, erano molte le mine vaganti che hanno saputo lasciare il segno, magari con capitoli isolati ma comunque di rilievo. Due tra queste sono sicuramente Kate Crawford e Bo Daley, entrambi gravitanti intorno alla Clan Analogue, prolifica etichetta della quale sarebbe bene cominciare a recuperare quante più cose possibili. Sono tra l’altro presenti con un brano su uno degli Stoner Classix… altro segreto australiano tutto da riscoprire. Dal comunicato emerge che questo People In The Dark sarà la prima di una lunga serie di registrazioni collezionate nel corso di oltre un ventennio dai due produttori, e questo non può che farci felici, vista la qualità della musica proposta. Otto brani di dance music techno e deep house elegante edispirata, con puntate downtempo ed ambient, musica da perenne afterhour con i suoi groove ipnotici e le sue confortevoli atmosfere rilassate. Grandi spazi per scritture sinuose, con il ritmo tenuto costantemente sotto controllo, per un risultato accurato e pregevole. Se questo è l’inizio, il futuro risplende già.
AMBIENT
FRAME, The Journey (Glacial Movements)
Mi chiedo come sarebbe andata a finire questa storia se The Journey fosse stato pubblicato nell’anno della sua creazione, il 1992… Eugenio Vatta e Andrea Benedetti, due visionari, creativi, menti e braccia della prima rivoluzione elettronica romana, quella che a partire dai primi anni Novanta ha contaminato dapprima la scena locale per poi arrivare a Londra, in tutta Europa e anche Oltreoceano in una città su tutte, Detroit. Sounds Never Seen, Plasmek, Sysmo: la loro musica e le loro idee sono contenute in molti dei dischi pubblicati da queste etichette, si parla di suoni contorti, sfrontati, fuori dal tempo, da quel tempo. Con il progetto Frame appaiono in due ep seminali, pubblicati dalla Plasmek Records, rispettivamente i volumi 2 e 3 della trilogia electro “The Dark Side Of The Sword”, con dei brani sperimentali nei quali il groove viene spinto in avanti da arrangiamenti distopici e ritmi convulsi. The Journey nasce invece con presupposti diversi, quelli di ricreare l’effetto di una colonna sonora in una sala cinematografica, servendosi soltanto strumentazione elettronica. Sin da subito veniamo proiettati all’interno di un flusso atmosferico inebriante, che scorre all’interno di nebbie fittissime rimodulandosi continuamente. Durante il percorso vengono poi utilizzate più sorgenti sonore per costruire i diversi scenari: organiche, ad esempio vibranti scuotimenti legnosi e ferrosi, poi quella che sembra essere una viola e anche materiale puramente elettronico che dona movimento e riesce a far variare in maniera netta la percezione dell’ascoltatore. Per fare un paragone, Substrata di Biosphere fu pubblicato nel 1997, e a mio avviso la potenza espressiva, la coesione, la scrittura cinematica e la cura del dettaglio di questo lavoro hanno molto in comune con i dischi del norvegese, condividono la stessa voglia di definire in maniera musicale ciò che lo sguardo, da solo, non comprende, creando di fatto un’esperienza multisensoriale dalla quale è difficile non venir sedotti. La Glacial Movements aggiunge un nuovo lucente gioiello a una discografia assolutamente di tutto rispetto.
HOUSE
MARLEY CARROLL, Flight Patterns (Loci)
La musica di Marley Carroll mi ha fatto tornare in mente quell’incredibile album che è Electronic Music From The Swedish Leftcoast dei Plej, un suono house dolce e privo di frizioni, a suo modo pop, melodie semplici, minimali ma in grado di ricreare un mood pacifico ed estremamente godibile, ricco di dettagli ma scorrevole. Forse qui manca un azzardo maggiore sulla stesura delle melodie, ma gli otto brani offrono un equilibrio ben studiato tra ritmo e melodia oltre che una selezione molto rigida sui suoni, praticamente delle note di piano, dei campanellini e qualche tastiera più corposa. Non mancano episodi più robusti – come “Fireflies”, “Shiver” o “Luna Moth” – che affondano maggiormente sul groove, per il resto un ottimo ascolto per una di quelle giornate fredde ma piene di sole.
SINGOLI
HOUSE / FUNK / HIP HOP
TEYMORI, Teymori Ep (Wax Museum Records)
Una caldissima bomba house dall’Australia, prodotta da Amin Payne con il suo pseudonimo Teymori, sei groovosi tagli house/hip hop che sfruttano tutto il carico di potenza del funk sciorinando gommosi accordi di tastiere, programmazioni ritmiche in chiave electrofunk, campioni di voci nere e tutto un armamentario di strumenti jazz come trombe o Fender Rhodes. Dance organica e godibile che si reinventa di continuo tra cambi di ritmo, campionamenti, breaks e grandi assoli. Un volteggio continuo tra il suono jazzy di “Patience”, il calore tribale “Valley Of Peace” e le strambe aperture di “Feel It”, altro brillante esempio di jazz-house-garage con tutti gli elementi al loro posto. “Sekondi” è un brano afro viscerale con il basso di Horacio Luna a graffiare prepotente, “Roy Layers” (il cui nome è tutto un programma) butta dentro xilofono, basso e tromba in una sorta di re-edit sulle corde del mago Ayers, mentre “Escapism” è electrofunk contemporaneo con tutto il fragore sintetico necessario ed ancora il basso a tracciare traiettorie orgasmiche.
Esplosivo!
ELECTRO / TECHNO
AA.VV., Persuasion (Blind Allies)
La lettone Blind Allies giunge al settimo capitolo di un progetto che vede pubblicati soltanto degli ep con musicisti differenti che non hanno mai collaborato insieme, ed è ormai foltissima la schiera di produttori che hanno aderito a questo progetto che naviga in territori electro, techno, acid ed idm. Da Gosub a Cosmic Force, Komarken Electronics, Luke Eargoggle, -=UHU=- e KAN3DA, per citare i più conosciuti, fino a tutta una schiera di nuovi produttori in linea con le suddette sonorità. Questa nuova raccolta prende il titolo di Persuasion e ospita veterani come Dark Vektor, Lectromagnetique e Cosmic Force al fianco di altri a me sconosciuti. La formula musicale viene ripetuta con successo in sei futuristiche visioni electro che ad ampio raggio coprono tanto terrene incarnazioni groovistiche quanto utopiche e più astratte alienazioni. Se siete in linea con label quali Solar One Music, Trust, Transient Force e via dicendo, questo fa per voi.
HOUSE
DEEP88, Flute / The SP1200 Ep (Arcane / What About This Love)
Due ep in uscita per Alessandro Pasini, in arte Deep88, ultimo sincero portavoce del suono house italiano carpito nella sua essenza: il primo esce per l’americana Arcane e si tratta di quattro scintille di passione che partono dal flauto della title-track sul solito smagliante corpo deep-malinconico per proseguire sulle solitarie note di “Lowe Me”, con tanto di triangolo e bassline in sottofondo, e giungere a “Control” (ambient house tutta pad e note stirate), mentre “Tropical Song” mantiene profondo il tiro puntando su piano e piattini per ricreare il mood tropicale.
Deep88 è più viscerale sul secondo ep, con tre ganci che partono con la corposa linea di basso di “It’s Just A Dream” per poi virare sulla più sperimentale “Someone’s On The Phone At 3 O’Clock In The Morning” con voce e ritmi scomposti a sovrastare un corpo di nuovo ambientale. Chiude con “Music”, ritmica muscolare e spettri vocali tremolanti. House music.
HOUSE
JAMES BOOTH, Bath Time (Funnuvòjere)
Nuova label fondata da Massimiliano Pagliara questa Funnuvòjere, che prende il nome di una spiaggia salentina descritta come un gioiello unico del sud Italia. Ad inaugurarla un nome che a mio avviso non ha ancora raccolto i giusti riconoscimenti, quello di James Booth, che soltanto un paio di anni fa pubblicava un mini album di notevole fattura per la Growing Bin Records. In questo Bath Time trova la giusta congiunzione tra melodia e groove in un suono house molto elettronico diviso equamente tra ritmiche semplici e molto dinamiche ed accordi e melodie funzionali e molto armonici. Qualcosa che si avvicina alle vecchie produzioni di Passarani & Co sulla Pigna Records, con quel modo di fare groove molto funk ma allo stesso tempo addolcito che rende il tutto maggiormente comunicativo.
ELECTRO
BITSTREAM, Switch Holo (Frustrated Funk)
Un nuovo disco dei Bitstream è un avvenimento, mancano infatti alle stampe da 10 lunghi anni e tornano ora con quattro nuovi brani electro di qualità pubblicati dalla sempre attentissima Frustrated Funk, partendo dalle evoluzioni ambient dell’iniziale “Stream Philter”, che sboccia poi in un ruvido assalto electro metallico e graffiante, e proseguendo con le accelerazioni ritmiche di “Screens”, le robotiche movenze electro-acid di “Tactic” e le mentali strutture techno-electro di “Switch Holo”, musica concepita per guardare al futuro, scartando soluzioni semplici per concentrarsi su nuove alchimie sonore in grado di continuare a sviluppare il linguaggio electro. Bentornati.
ELECTRO
AA.VV., The Orbitantas (FU.ME. Records)
Disco concepito durante una delle serate milanesi del collettivo Orbiter ed ora impresso su 4 graffianti solchi nei quali si alternano giganti electro come The Exaltics e Faceless Mind ed Umwelt insieme a Dj Vietnam in combutta con Haterparisi. Apre The Exaltics con un grande sogno electro-ambient tra ritmiche scintillanti e grandi arie in elevazione che aprono il portale che ci catapulta dentro i “Parallel Worlds”. Faceless Mind in una classica dimensione electro con la pulsante “Viggen Formations” ed il suo ritmato volteggio laser. Segue Abduction del duo Vietnam/Parisi, una minimale e ruggente scheggia metallica montata su ritmi dalla precisione scientifica. Umwelt impazza con un incredibile affondo techno-acid passato al microscopio, suoni tiratissimi e dettagli cruenti a dar vita ad un viaggio esemplare.
DA METTERE IN DISPENSA
La A-TON, etichetta figlia della più famosa Ostgut Ton, ha raccolto in tre imperdibili capitoli molta della produzione da Luke Slater con il suo pseudonimo The 7th Plain, uno dei migliori progetti ambient-techno che abbia mai visto luce. Ci sono diversi brani pubblicati sui suoi vecchi e ormai costosi album e una buona dose di inediti appartenti a quello stesso periodo. La cosa bella è che potete acquistarli anche in tre comodissimi cd da portare ovunque, nel caso abbiate necessità della vostra dose di ossigeno musicale.
RIPESCAGGI
TECHNO
UTROID MACHINE MISSIONS, The Dream Tec Album (U-Trax, 1993)
Natasja Hagemeier e Jeroen Brandjes, ovvero i The Connection Machine, macchina (appunto) techno tra le più sofisticate in Europa, artisti capaci di dar nuova forma al suono che da sempre ha rappresentato un’utopistica idea di futuro. Qui in una di quelle incarnazioni al centro dei Novanta attaverso cui hanno saputo dar vita a un convoglio musicale dal forte potere narrativo, mettendo per iscritto nuove traiettorie per l’evoluzione del suono techno dopo aver preso in consegna un bagaglio di suoni oscuri e di atmosfere lunari. Nei quasi sette minuti di “X Manray” troverete tutto quel carico di insicurezza e instabilità che però ha generato un flusso sonoro carico di ottimismo, speranza e creatività. Profondo come solo l’intelletto umano sa essere.