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ALL HANDS_MAKE LIGHT, Darling The Dawn

“La notte più lunga eterna non è”, dice un verso della Canzone della Moldava di Bertolt Brecht e Kurt Weill, che mi è da sempre molto caro. Se preferite una traduzione più letterale, “la notte ha dodici ore, e poi arriva il giorno”. La sostanza non cambia, si tratta sempre della stessa constatazione: per quanto il cielo tutto intorno a te possa essere nero, prima o poi la luce del Sole ritorna e non per chissà quale concessione divina, ma per la semplice legge del tempo.

Efrim Manuel Menuk, una delle due menti dietro al progetto All Hands Make Light, parla di un’epifania molto simile a quella brechtiana quando dà voce alle immagini che hanno fatto nascere Darling The Dawn: racconta infatti dell’avere scelto l’idea stessa di alba come guida per questo concept album, ma di essersi poi reso conto di volerne raccontare non tanto i colori o il suo insito portato di rinascita, ma piuttosto la sua ineluttabilità, non sempre desiderata, la bellezza dei suoi chiarori rivelatori, ma anche la violenza della sua luce.

Quando ne parla Ariel Engle, altra metà del duo, il disco assume un’aura ancestrale, fatta di percezioni somatiche e di registrazioni alla “buona la prima”, indispensabili per catturarle: come cantante, si definisce una banderuola in preda a percezioni pre-coscienti e le sue scelte di stile riflettono perfettamente queste impressioni.

Menuk e Engle, mente di Godspeed You! Black Emperor lui e voce degli ultimi Broken Social Scene (oltre che del progetto solista La Force) lei, offrono al loro pubblico di aficionados, a due anni di distanza dalla prima autoproduzione a nome All Hands Make Light, un disco fatto di synth shoegaze e di ispirazioni folk. Un’opera molto connotabile come materiale Constellation, non solo per tematiche e scelte musicali (che ricordano sia i lavori di GY!BE sia uscite più laterali come alcune cose di Polmo Polpo e dei Do Make Say Think), ma anche per la scelta dei compagni di viaggio Jessica Moss (violinista in moltissime produzioni della casa discografica di Montréal) e Liam O’Neill (batterista dei SUUNS), due musicisti capaci di aggiungere i suoni più giusti a una palette già carica di riverberi e sintetizzatori, voci lontane e drone.

Darling The Dawn è fatto di stupore, ansia, trance, un disco che guarda a un futuro inevitabile, ma non per questo spaventoso. L’alba arriva per tutti, e in qualche modo, per quanto la sua troppa luce possa gravare sui nostri occhi abituati al buio, va celebrata.