Alexandros Anesiadis e “Crossover: The Edge”
Ho scoperto dell’esistenza del libro “Crossover: The Edge” grazie a delle foto apparse sui social, immagini di musicisti hardcore con maglie di gruppi metal e viceversa. Alcune già note, come la foto di Miret degli Agnostic Front con maglia dei Voivod, altre meno, come quella di Sebastian Bach degli Skid Row con maglietta dei Warzone. Incuriosito, ho iniziato a seguire la pagina e scoperto che era gestita da un ragazzo più giovane di me, eppure altrettanto appassionato di crossover e di tutte quelle band che hanno reso gloriosa e indimenticabile la collisione tra metal e punk, tanto da decidere di scriverci sopra un libro a dir poco esaustivo con notizie su più di cento band attive negli anni Ottanta. Incuriosito dalla lettura, ho pensato di rivolgere all’autore qualche domanda per capire come è nata l’idea e perché abbia deciso di focalizzarsi proprio sull’epopea del crossover, spesso condotta da band di breve vita e con all’attivo solo una manciata di dischi. Questo è il risultato della nostra chiacchierata.
Ciao Alex, prima di tutto, mi piacerebbe sapere di come è nata la tua passione per la musica estrema e in particolare per il crossover. Ti ricordi quali album hanno dato il via a questa passione duratura?
Alexandros Anesiadis: Ciao Michele, innanzitutto grazie mille per questa intervista. Bene, direi che l’album responsabile del mio amore per hardcore, punk, thrash (e i loro derivati più estremi) sia stato Four Of A Kind dei D.R.I., il primo disco crossover che ho avuto alla tenera età di quattordici anni e che mi ha fatto letteralmente andare fuori di testa. Insieme a questo, all’inizio hanno contribuito al puzzle Age Of Quarrel dei Cro-Mags, Hear Nothing dei Discharge e Victim In Pain degli Agnostic Front. Niente è stato più lo stesso dal giorno in cui ne sono entrato in possesso.
Cosa ti ha attratto di quel mix tra generi differenti e di quel periodo, tanto da affrontare l’enorme sforzo di scriverci sopra un saggio che descriverei come la prima storia completa del crossover pubblicata ad oggi?
Grazie mille per le belle parole, di certo è stato un enorme sforzo basato al 100% sul mio amore per questa musica, oltre all’essermi detto: “Ci sono tanti bei libri là fuori, ma non ce n’è uno sul crossover tra hardcore punk e metal”. Esclusa l’eccellente opera di Waksman, basata sul punto di vista del crossover (“This Ain’t the Summer of Love: Conflict and Crossover in Heavy Metal and Punk”), non ci sono scritti sulle band e la loro storia. Così, ispirato dagli incredibili lavori di Ian Glasper usciti per la Cherry Red Records, ho cominciato a scrivere il mio libro. Senza l’aiuto di Ian Glasper e appunto della Cherry Red, questo lavoro non sarebbe mai divenuto realtà, per cui devo tutto a lui e gli sarò eternamente riconoscente. Oltre, ovviamente, alla mia compagna, che è stata molto paziente e mi ha supportato dal primo giorno.
Come hai scelto il tipo di approccio da utilizzare e quanto ti ci è voluto per completare il tutto?
Sono una persona diretta, quindi ho deciso che sarebbe stato bello contattare personalmente tutte le band. E-mail, telefonate, Skype, Facebook, lettere, ho usato ogni mezzo per contattare i gruppi. A volte è stato sfibrante, ci può volere una vita a contattare qualcuno. A volte ho dovuto prendere gli elenchi telefonici e chiamare. Solo per raccogliere le interviste ci ho messo due anni, fino all’ultimo minuto, quando ho ricevuto l’intervista di Scott dei Not Us.
Hai parlato con moltissimi protagonisti e musicisti. È stato difficile convincerli? Hai riscontrato qualche sensazione comune o una visione unitaria del periodo che li lega?
A volte è stata davvero dura convincerli a partecipare. Alcuni volevano evitare di parlare del loro passato, quasi se ne vergognassero. Quindi, sono dovuto essere parecchio insistente per convincerli ad aprirsi con me. La maggior parte, comunque, sono ancora attivi e fieri di ciò che hanno fatto negli Ottanta.
Di certo, ci sono state band come St. Vitus, Carnivore, Whiplash o Nuclear Assault che non hanno incontrato difficoltà ad essere accolte in seno alla scena hardcore. Per citare i grossi nomi, direi che i Motörhead sono probabilmente il miglior esempio di band metal da sempre amata anche dai punk. A parte i capelli lunghi (aspetto citato da molti degli intervistati), per quali motivi credi ci fosse tanta diffidenza verso i metallari prima dell’esplosione del crossover?
Credo che la tensione precedente all’esplosione del crossover fosse dovuta al fatto che la scena hardcore punk fosse molto più interessata alla politica. Chi ascoltava hardcore punk riteneva i metallari ingenui per quanto riguardava i testi e leggeri (o comunque meno duri) per la musica. Dall’altra parte, i metallari vedevano i punk come persone che non si divertivano e consideravano la loro musica limitata e debole. C’erano ovviamente alcune eccezioni, perché Motörhead e Discharge erano accettati in entrambi i campi, ma i giorni pre-crossover erano ricchi di insulti reciproci e tensioni. Non ti scordare, poi, che negli U.S.A. per gran parte degli Ottanta il metal era associato a nomi quali Mötley Crüe, Ratt e Poison, band che, pur avendo avuto le radici nel proto-punk e nel punk 77, in generale erano considerate “bubblegum pop metal”.
Da ciò che ricordo e posso leggere, c’è questa idea che i metallari fossero in qualche modo la parte nerd della ricetta e gli hc/skins quella turbolenta ma anche più consapevole. Credi sia, in realtà, un semplice pregiudizio o ne hai avuto riscontri mentre raccoglievi ricordi e dati?
Beh, direi che dipende molto dalla scena e dal luogo cui ti riferisci. I metallari e gli hc/skins newyorkesi al tempo erano tutti ragazzi problematici e molto tosti, mentre per dire in Canada erano più del tipo intellettuale. Non credo ci sia una regola generale, ad esempio molti dei punk statunitensi erano dei nerd intelligenti che dovevano combattere contro dei palestrati idioti. Alla fine, dipende dalla zona geografica di cui parli.
Cosa credi portò all’accettazione reciproca e all’abbandono dei pregiudizi?
I nemici comuni. Per il 99% della gente comune, punk e metallari erano la stessa cosa, almeno ai tempi. Erano socialmente esclusi perché avevano la cresta o i capelli lunghi, quando era figo assomigliare a un idolo del pop. Anche la musica appariva alla maggior parte della gente tutta uguale. Allo stesso tempo, quando il crossover le riunì, le due sottoculture scoprirono di avere un terreno comune, specialmente in luoghi come Portland dove tutti erano amici a dispetto dell’ascoltare punk o metal.
Eri già a conoscenza di tutte le band che citi nel libro, o hai scoperto qualche nome nuovo che ti eri perso al tempo?
Strano che possa apparire, ero già a conoscenza della maggior parte di questi nomi, anche perché ne tenevo traccia grazie al leggere le fanzine o ascoltare anche i demo più oscuri. Comunque, ho scoperto gruppi come i Braindead o i Rancid di Flint, Michigan, di cui non avevo mai sentito parlare. Ancora meglio, ho riascoltato i miei vecchi dischi e ho scoperto che avevo snobbato grandi band come i Dresden o i Bitter End, che pazzo che sono stato.
Se ripenso a quei giorni, ricordo bene la voglia di far parte di qualcosa che stava accadendo proprio in quel momento e non restare un semplice ascoltatore. Dovevi mettere su la tua band, la tua ‘zine, organizzare un concerto sotto casa o un’etichetta di cassette, insomma dovevi far qualcosa in prima persona. Credo sia stato dovuto alla parte diy e punk della scena. Quali altri aspetti la influenzarono da entrambi i lati?
Hai perfettamente ragione, Michele: l’approccio diy è il primo e più importante aspetto. Credo, inoltre, che il punk abbia portato una buona dose di realismo nel metal, i metallari smisero di cantare di ragazze e draghi e cominciarono a nascere band politicizzate come gli eccellenti Sacred Reich. Dall’altra parte, l’influenza del metal sul punk fu benefica, perché non si limitò alla musica, ma anche a quanto attiene gli aspetti della produzione e similari. Potevi avere un suono denso ma allo stesso tempo 100% hardcore, basta sentire i Sick Of It All su Blood, Sweat And No Tears. Inoltre, in termini di immaginazione, i musicisti hardcore punk non erano più spaventati dall’usare i colori sulle copertine (cosa che inizialmente era considerata sintomo di commercializzazione come accadde per gli Exploited con Troops Of Tomorrow) e le band metal cominciarono a utilizzare immagini politiche negli artwork come per Peace Sells dei Megadeth.
Allo stesso tempo, ad un certo punto la situazione cambiò e la ricerca di un contratto con una grossa etichetta divenne la norma anche per molte band hardcore. Un cambio di mentalità che avviò il declino della scena crossover…
Purtroppo, sì, ciò che le grosse etichette fecero al crossover fu trarne profitto e poi correre alla ricerca del nuovo trend, scaricando le band che finivano per sciogliersi. Ricordi cosa accadde ai D.R.I. quando realizzarono Definition? Nessuno sapeva fosse stato pubblicato. Quindi, sì, le grandi label fecero ciò che riusciva loro meglio, si approfittarono del crossover e lo uccisero per passare alla nuova moda.
Spesso nel libro sottolinei come certe band, pur fautrici di una proposta musicale interessante, avessero un approccio ai testi imbarazzante se non proprio inaccettabile. Credi che l’attuale situazione politica e la nuova avanzata delle destre comporti la necessità di prendere posizioni chiare, con l’abbandono dell’approccio “la musica è musica” diffusosi anche nelle scene metal e punk nei Novanta?
Assolutamente. Alcune delle formazioni erano a dir poco idiote, ingannevoli e stupide. Non lo faccio per giocare la carta del politicamente corretto, ma di certo non otterrai il pass oggi se cantavi che gli stranieri dovevano imparare la tua lingua o se eri uno stupido sessista. Non lo avevi neanche allora quando le cose erano più rilassate, ma oggi di sicuro devono essere sottolineati anche i dettagli più piccoli. Band come i Carnivore facevano una musica incredibile, ma i loro testi erano ingannevoli e pericolosi. Non è divertente, Michele, mi ricordo un documentario sui movimenti neo-nazi negli U.S.A. visto nei Novanta e i ragazzini indossavano maglie dei S.O.D. e dei Carnivore. Quindi, non esiste “la musica è musica” per me e lo difenderò fino alla fine.
Ho visto sui social che stai già raccogliendo molti feedback sul libro, ti aspettavi una simile risposta? Non credi che il crossover abbia avuto un enorme impatto su chiunque abbia incrociato la sua strada?
Non mi aspettavo una risposta così massiccia da ogni parte del Mondo. La gente sembra amare Crossover The Edge e la cosa mi eccita, mi onora e mi rende felice. In questo modo ho potuto conoscere molte persone in gamba (compreso te) e devo dire che farò del mio meglio per mantenere vivi questi rapporti, anzi cercherò di espanderli ora che sto per iniziare a lavorare su i due prossimi libri. Direi che la scena crossover e band come Crumbsuckers, Beyond Possession, Sacrilege e via dicendo, portano alla mente nelle persone grandi ricordi della propria gioventù. Quelle band hanno avuto un enorme impatto e la gente le ricorda con nostalgia, perché hanno prodotto pochi dischi e hanno avuto in genere una vita breve, per cui hanno lasciato alle persone solo ricordi positivi.
Hai già contatti o progetti per tradurre e pubblicare il libro in Italia?
Come sai, gran parte del libro è stato scritto mentre vivevo in Italia con la mia famiglia. Siamo vissuti nella meravigliosa Siena per un anno. Non ho ancora accordi per tradurre e pubblicare il libro in Italia, ma se qualcuno è interessato, contatti me o la Cherry Red. Sarei davvero felice accadesse.
Chiudiamo questa chiacchierata con la tua lista dei dieci dischi crossover che non dovrebbero mancare nella collezione dei nostri lettori…
Sei una persona perfida, Michele, non mi aspettavo questa domanda da te. Ma, almeno per oggi, la mia top ten del crossover è questa:
Excel – Split Image
Attitude Adjustment – American Paranoia
R.I. – Crossover
Raw Power – After your brain
Gang Green – You got it
Sacrilege – Behind the realms of madness
Broken Bones -Bonecrusher
Cro Mags – Best Wishes
Nuclear Assault – Game Over
Beowulf – S/t
Grazie mille per l’intervista, spero di incontrarti presto.