Alexander Hawkins, my Life in the Bush of Pianos
Alexander Hawkins, quarantenne da Oxford, Inghilterra, è uno dei musicisti più interessanti ed ispirati del nostro tempo (il suo recente solo a Novara Jazz ce lo ha mostrato in forma smagliante: il suo pianismo eclettico e inventivo è capace di regalare sempre sorprese, sia in solo che nel quartetto con la cantante Elaine Mitchener o con il fiammeggiante Chicago London Underground: un talento vivido dalle orecchie spalancate verso l’ignoto, testa fertile di domande, idee e cuore aperto. Collabora da tempo con Evan Parker ed è in uscita un mastodontico box (13 cd) in quartetto diretto da Anthony Braxton, Quartet (Standards) 2020, che vede il nostro al pianoforte. L’ultimo disco a suo nome, dopo l’ottimo solo di Iron Into Wind, per la sempre attenta Intakt, è l’ottimo Shards And Constellations in duo con Tomeika Reid sempre per i tipi di Zurigo, si intitola Togetherness. Music For Sixteen Musicians (indovinate l’etichetta) ed è stato uno dei primi grandi album dell’anno in corso, in perfetto, mobile equilibrio tra selvatica e rigorosa grammatica tayloriana, astratti nitori braxtoniani e la grande personalità di un pianista che si sta affermando sempre più anche come improvvisatore e compositore. In Romagna, domenica 27 chiuderà con un solo al piano D’Istante, l’edizione di quest’anno del Forlì Open Music Festival, organizzati dall’Area Sismica. Occasione imperdibile per tastare il polso di una delle teste meglio pensanti della musica creativa di oggi.
Partiamo dal tuo ultimo disco su Intakt. Classica contemporanea e improvvisazione: dove si incontrano e dove le incontri? Da qualche parte non distinguibile dalla magia?
Alexander Hawkins: Questa è una domanda davvero interessante, perché per quanto mi riguarda non ho mai pensato a “classica contemporanea” e “improvvisazione” come a due idee differenti. Ovviamente abbiamo tutti familiarità con l’uso dell’improvvisazione nella musica classica, che siano cadenze improvvisate ai concerti, abbellimenti tra le righe in una corale di Bach, la tradizione organistica francese o altro. E pure nella classica più contemporanea l’improvvisazione è nell’ordine delle cose, anche in situazioni nelle quali i compositori negano apertamente la sua rilevanza (qui penso, ad esempio, a certi lavori di Stockhausen). Penso anche ad alcuni lavori di Mary Lou Williams o Duke Ellington, senza dimenticare numerosi altri esempi: Anthony Braxton, Ornette Coleman, Julius Hemphill… L’idea di composizione estesa che include l’improvvisazione penso stia più o meno nel canone, a questo punto. In ogni caso, capisco assolutamente la tua domanda, perché credo che quella dei performer di lavori di questo tipo sia ancora una scelta importante. Le istanze più “ortodosse” della “musica classica contemporanea” e della “improvvisazione” hanno spesso necessità tecniche diverse, quindi penso sia molto importante essere sensibili alle specifiche abilità del musicista quando si creano ensemble per suonare musica che richiede una varietà di capacità. Un buon esempio di questo da Togetherness Music potrebbe essere “Ecstatic Baobabs”, dove la realizzazione accurata della notazione per gli archi (l’uso esteso di armonici, per dire) è qualcosa poi di relativamente semplice per un musicista “contemporary classical”, mentre sarebbe potenzialmente più ardua per quelli con meno familiarità con queste norme. O, all’opposto, i riferimenti al “walking bass” in “Leaving The Classroom Of A Beloved Teacher” suonerebbero molto diversi se fossero prodotti da qualcuno senza un’esperienza consistente nell’eseguire certe linee in un contesto più “swinging”. Aggiungerei, comunque, che nonostante sia importante essere sensibili nella scelta dei giusti musicisti per suonare musica di questo tipo, non c’è per fortuna carenza – specie tra i più giovani – di persone che abbiano interessi per tutti questi vari mondi, oltre che enormi capacità tecniche.
“Leaving The Classroom Of A Beloved Teacher”: mi puoi parlare del tuo percorso musicale e del tuo primo ricordo musicale?
Il mio primo ricordo musicale è molto chiaro: ascoltare “Saturday Night Function” di Duke Ellington. Mio padre è un grande fan di Duke Ellington, dunque quella musica è stata parte del mio DNA musicale sin dall’inizio. Art Tatum, Fletcher Henderson, e molti altri, sono stati altri musicisti jazz che ho ascoltato da molto piccolo. A casa, però, non passava solo jazz, ma anche molta musica classica, quindi ho amato questa tradizione sin da subito. La mia formazione come strumentista, infatti, è di tradizione classica. Ho iniziato a prendere lezioni di piano a sei anni, nonostante fossi così fortunato da avere un pianoforte a casa, quindi ci armeggiavo molto prima di quella volta. Intorno agli 11 anni mi sono concentrato di più sull’organo: a quel punto, ero tecnicamente più adatto a quello strumento che al piano. È stato un trampolino per investigare i mondi di Bach e Messiaen, per esempio (anche se “Turangalîla” mi era familiare prima di tutto questo, perché i miei genitori – regalo di matrimonio! – ce l’avevano su lp). Il primo score orchestrale a ossessionarmi è stato la Nona Sinfonia di Bruckner, tratto da uno dei degli spartiti tascabili Eulenburg che mio padre aveva. Per tramite di Bruckner ho sviluppato un amore per il corno francese, suonandolo per alcuni anni, pur non avendo alcuna attitudine per esso, fermandomi ancora prima di riuscire a suonare l’apertura di “Till Eulenspiegel”, che era di sicuro uno dei miei sogni di undicenne. Durante i miei anni da teenager sono stato migliore come organista che come pianista, ma, nonostante il primo dei due strumenti in questione mi piacesse molto, amavo davvero solo il secondo, sul quale a 18 anni ho deciso di concentrarmi. La mia ambizione era diventare un musicista professionista e mi ero convinto che ciò potesse realizzarsi se avessi avuto maggior confidenza col piano.
Scegli qualche musicista che potresti definire tuo maestro… uno di questi potrebbe forse essere Evan Parker? Anthony Braxton? Nessun pianista qui…
La verità è che io cerco di imparare da ogni situazione musicale in cui mi trovo, che sia suonare con “anziani statisti” o con gente con la metà dei miei anni! Ovviamente certe relazioni musicali durano naturalmente di più di altre, e hanno più significato. Evan è stato cruciale per me. All’inizio era più o meno una questione di sicurezza in sé stessi: quando iniziò a chiamarmi regolarmente a suonare, io ero in un certo senso insicuro sul fatto che qualcuno potesse ascoltare la mia musica. Perciò fu un’autentica conferma e una spinta alla mia autostima il semplice fatto di essere chiamato a suonare da uno come Evan. Logicamente, più suoni con uno come lui, più cominci a capire e a chiarirti certe idee sulla musica stessa. Il mio rapporto con Anthony è più recente, ma lui ti ispira in un modo incredibile: è proprio pazzesco andare in giro con uno così aperto a tutte le possibilità, così felice di suonare. Devo inoltre nominare Louis Moholo-Moholo: impossibile esagerare quando si tratta di dire quanto è stato importante per me il suo impegno al calor bianco in ogni singola performance. Parlando di batteristi e musica, storia e molto altro, lasciami dire quanto imparo ogni volta che passo del tempo con Hamid Drake. Ovviamente, più gente nomino, più rischio di essere irrispettoso dimenticando qualcuno, dunque mi limito a quattro nomi ancora: Pat Thomas e Pete McPhail, che sono stati decisivi per me crescendo nella scena musicale di Oxford, e John Edwards e Jason Yarde (non c’è bisogno di dirlo: maghi col contrabbasso e il sassofono, rispettivamente), due delle persone più approcciabili e incoraggianti nel nostro giro musicale. Mi fermo qui, altrimenti andrei più in profondità, dato che non ho mai incontrato molti dei miei maestri: questi sono quelli che vivono negli score (Bach, Janacek) e nei dischi (Pollini, Carlos Kleiber) sui miei scaffali.
Come dev’essere la musica per suonare interessante per te? Ogni suono è musica? Che rapporto hai con elettronica e noise?
Non credo di averci mai pensato. Cerco di essere sempre un ascoltatore aperto, e se trovassi dei criteri per definire che musica è interessante per me, allora rischierei di escludere un quantitativo di splendidi suoni che non ho ancora incontrato. Naturalmente, non mi piace tutto, e forse ho enormi punti ciechi. Ma il solo fatto che qualcosa non mi piaccia è interessante per me, perché posso capire meglio ciò a cui dò valore in termini di sound e musica cercando di comprendere perché qualcosa non mi va. Ogni suono è musica? Faccenda molto dibattuta, ma sono felice di rispondere modificando leggermente la domanda in “può ogni suono essere musica?”, e rispondo di sì. L’elettronica m’affascina, senza dubbio: le possibilità sono sconcertanti, e ci sono ancora molti mondi da scoprire, senza dubbio. Ma per altri versi ho una relazione cauta con l’elettronica, perché penso che sia un rischio concreto di cadere nei cliché, come del resto anche con la musica acustica, ma in questo caso abbiamo avuto più tempo per farcene una ragione. Però, sicuro, l’elettronica mi intriga, e ho un certo numero di idee in testa per utilizzarla di più.
Suoni molto in Italia, fammi i nomi di musicisti italiani ai quali sei legato e/o che ti piacciono.
Mi pare che Roberto Ottaviano sia stato il primo musicista con cui ho iniziato a lavorare in modo continuo: penso sia un meraviglioso, meraviglioso musicista. Chi può definire quell’elusiva (e spesso stereotipata, dobbiamo stare attenti!) idea di anima? Lui ne ha in abbondanza. Una persona davvero generosa, sul palco e fuori, e amo ogni minuto in cui riusciamo a suonare insieme. Marco Colonna è un altro maestro: fantastico linguaggio e personalità. Da poco ha sviluppato un sistema grafico per la notazione e, anche se non sono sicuro che abbia pubblicato ancora della musica basata su di esso, offre entusiasmanti possibilità. Ho suonato anche con Gabriele Mitelli da un po’ di anni a questa parte, un’altra meravigliosa personalità musicale. E di nuovo posso vedere il pericolo di dimenticare qualcuno: ci sono contrabbassisti fantastici (è una gioia suonare con Giovanni Maier, Danilo Gallo, Stefano Senni e Giorgio Vendola; Silvia Bolognesi è brillante, ma non abbiamo ancora diviso il palco) e anche fantastici batteristi (Zeno De Rossi e Cristiano Calcagnile). Giorgio Pacorig, Franco D’Andrea, Giorgio Gaslini… Giancarlo Schiaffini, Beppe Caruso… e ovviamente l’Orchestra Instabile in generale è stata uno migliori ensemble della tradizione europea. Spostandosi verso la classica contemporanea, non posso non parlare di Fabrizio Ottaviucci o Franceso Dillon. Lo so, questa non è proprio la risposta alla domanda che mi hai fatto, ma nella musica classica i pianisti italiani sono maestri! Dino Ciani, Sergio Fiorentino e due leggende: Arturo Benedetti Michelangeli e il mio eroe Maurizio Pollini.
Solo, duo, trio, quartetto, large ensemble: suoni in assetti diversi. Chiaramente ci sono delle differenze, ma quali? Forse da solo hai bisogno di un po’ più di quello “Strange Courage”?
Penso di poter dare una risposta molto breve a questa domanda, perché essenzialmente non cambio in modo conscio il mio comportamento a seconda dell’assetto. Piuttosto tendo ad affidarmi a dei valori fondamentali che cerco di portare avanti con tutta la mia musica: sincerità (spero non sia pretenzioso, ma penso che si tratti di essere sé stessi e non suonare come altri), comunicazione e rispetto (questo è il principale valore a cui non rinunciare se si suona in ensemble). Questi sono tre grandi valori, ma sì, forse una po’ di coraggio è necessario.
Il tuo ultimo duo su Intakt è stato con Tomeka Reid: che hai in mente per il futuro? Com’è stata la pandemia?
Tomeka è semplicemente una musicista incredibile, è una gioia suonarci. Sfortunatamente abbiamo perso la possibilità di fare un po’ di concerti a causa della pandemia, ma speriamo di suonare ancora quando la situazione lo permetterà, in particolare in trio con Chad Taylor. Non abbiamo ancora avuto l’occasione di farlo, ma sono entusiasta dell’idea. Amo suonare in duo, e ho un disco in uscita quest’estate per Intakt con la fantastica Angelika Niescier, sperando di andarci in tour in autunno. Angelika ha un’energia molto speciale, sono fiero dell’album, e sono molto desideroso di fare questi concerti. Un altro duo di questi anni è stato quello con la fantastica vocalist Sofia Jernberg: trovare il tempo per lavorare con lei è una forma d’arte a sé stante, ma speriamo di registrare il prima possibile.
Sto anche lavorando ai dettagli della mia prossima uscita come leader, un album principalmente di musica in quartetto: devo aspettare prima di dire di più, ma ne sono molto contento.
Per quanto riguarda la pandemia, come tutti, ho perso molto lavoro: ma il tempo è anche un lusso, e così per un periodo sono stato molto felice di avere l’opportunità di concentrarmi su vari progetti compositivi (Togetherness Music è uno di questi), oltre a provare/esercitarmi un sacco: non solo conservare familiarità con lo strumento, ma lavorarci “davvero” su, dato che sorprendentemente difficile farlo mentre si viaggia in tempi “normali” (mi rendo conto che questa è un’affermazione complessa, siccome nel mondo moderno il tempo non è abbastanza: è un privilegiato chi ha potuto capitalizzare su certe opportunità avendo dalla sua la stabilità finanziaria).
Musiciste come Satoko Fujii durante la pandemia hanno registrato un mucchio di dischi: come fa un musicista a tenere sempre viva la sua ispirazione?
Non so la risposta. Mi sento incredibilmente fortunato: ero molto felice di sedere al piano per molte ore ogni giorno, ed esercitarmi. Personalmente non ho bisogno di un obbiettivo per fare pratica, la ricompensa è il tempo allo strumento, anche se ovviamente sono felice di allenarmi con un goal. Ma so anche che tanti musicisti hanno faticato a motivarsi, e che questa mancanza di motivazione non ha nulla a che fare con quanto amano la loro arte: la psicologia della pandemia è stata tanto crudele quanto imprevedibile. Quindi la verità è che non so come tenere accesa l’ispirazione, ma sono grato che la mia abbia continuato a bruciare.
Vedi la musica o la capti da qualche parte come se fossi una specie di radar? Dove sta? Da qualche parte che possiamo anche descrivere?
Un’altra domanda affascinante, ma molto difficile! Posso dire una cosa di sicuro: non vedo la musica, per me è qualcosa di puramente astratto. Non esperisco la musica visivamente, le immagini non mi ispirano la musica e la musica non evoca immagini per me. Realizzo che questo cambia da persona a persona, e che questa è la mia esperienza personale. Quindi da dove arriva l’ispirazione? Non lo so. Suppongo che se sapessimo cosa aspettarci dalla musica, sarebbe un paradosso, perché non si può conoscere a priori. Penso che parte di una risposta dettagliata a questa domanda dovrebbe anche tenere in considerazione il subconscio, e idee come “stati di flusso”, argomenti che possono diventare molto difficili.
Che tipo di ascoltatore sei tu e che ascolti in questi giorni?
Ascolto costantemente! Questa mattina, per esempio, ho ascoltato Zoltan Kocsis suonare “L’Arte Della Fuga”. In questi giorni ho anche ascoltato il gran chitarrista Duck Baker, oltre che un box set di registrazioni fatte da Evgeny Mravinsky, uno dei miei direttori d’orchestra preferiti, con la Filarmonica di Leningrado. Ho da poco comprato score orchestrali di due dei miei lavori preferiti del Ventesimo Secolo (e non solo): “Příhody Lišky Bystroušky” e “Věc Makropulos” di Janacek, e quando mi arriveranno, di sicuro mi ci immergerò. Sono anche tornato a sentire Henry Threadgill e “Makin’ A Move”. Poi ancora un cd di musica per litofono dal Togo. In breve: ascolto sempre qualcosa!
Qualcosa che ti ispira al di fuori della musica.
Beh, devo di nuovo essere disciplinato qui, perché altrimenti potrei andare avanti, avanti e avanti. Ma due cose: football (una passione di lungo corso) e scacchi (una più recente). Ovviamente c’è molto male che circonda il football, ma si parla di ego e capitalismo, non del gioco in sé stesso, che è sorgente di incredibile bellezza, gioia e creatività. Sono un terribile giocatore di scacchi: dico la verità, non è falsa modestia. Ma mi piace il gioco, anche se è un po’ spaventoso (lo dico perché mi rendo conto pienamente che sono troppo vecchio per diventare bravo quanto vorrei, ma mi spaventa immaginare come sarebbe stato approcciare questo gioco da giovane con la stessa ossessività con cui ho approcciato la musica). Ma di nuovo, il bello del gioco può essere molto mozzafiato (incidentalmente, sto rispondendo con “The Life and Games of Mikhail Tal” al mio fianco).
Seguivi o hai seguito in qualche modo la scena di Canterbury?
Posso dare una risposta diretta e onesta: no! Questo è un buon esempio dei “buchi neri” nella mia cultura ai quali ho fatto cenno prima. Il prog rock è solo un elemento di questo mondo sonoro, ed è un esempio di un linguaggio che non mi dice molto. Diverso sarebbe parlare di alcuni musicisti associate a quella scena, molti dei quali ovviamente erano fenomenali!
Musicisti che pochi conoscono e che meriterebbero maggior gloria, secondo te.
Dura questa, per molte ragioni. In generale, vorrei una società in cui fossero valutati correttamente scienziati, educatori, matematici, dottori, musicisti e così via, no i più ricchi/rumorosi/sfacciati… Ma voglio aggiustare la risposta per dire che mi piacerebbe una società dove la gente non si curasse troppo della gloria, ma caratterizzata dal rispetto reciproco e dall’ammirazione per ognuno!
Mi sa però che sto facendo overthinking, non è questo il cuore della domanda! Molti sono i musicisti che vorrei sentir nominare più spesso. Pat Thomas, per esempio, che ho nominato prima: quando l’ispirazione lo centra, è un visionario. CI sono anche musicisti che molta gente conosce, ma abitano i confini tra scene e idiomi, quindi forse a volte sono meno in vista di quanto dovrebbero essere. In questa categoria nomino due da capogiro: Sofia Jernberg and Marcin Masecki, due musicisti più giovani, che tratto come un caso leggermente a parte.
Prossima vita: non sei un pianista, ma…
Escludo risposte musicali qui (direttore d’orchestra, compositore…)! Architetto? Forse. Gran maestro di scacchi mi tenta molto. Ma alla fine direi centrocampista centrale del Chelsea (ma senza giocare in nazionale, perché trova l’idea di nazioni e nazionalismi molto problematica).