ALESSANDRA NOVAGA, The Artistic Image Is Always A Miracle
Ci sono dischi nella mia raccolta che occupano una posizione particolare. Dischi che metto sul piatto solo quando sono sicuro di trovarmi in uno stato mentale tale da poterli affrontare, solo quando le condizioni ambientali lo permettano, ci sia la giusta tranquillità e del tempo a disposizione: dischi insomma che meritano la massima attenzione e una certa disposizione d’animo. Tra questi – non molti in verità – c’è la colonna sonora di “Solaris” ad opera di Eduard Artemyev, pionere russo della musica elettronica famoso per le sue collaborazioni con il regista Andrej Tarkovskij. Il cinema di Tarkovskij non è propriamente argomento semplice: incompreso all’epoca anche da molti addetti ai lavori, il cineasta russo diede vita ad opere dall’indubbio fascino visivo ma tormentate e improntate a un linguaggio sospeso che cerca di penetrare nell’arcano, con un ricorrere insistito di simboli, l’acqua, il gocciolio, il vapore, la vegetazione contorta. Nei film di Tarkovskij predomina un aspetto fortemente liminale – allorquando il concetto di liminalità non era ancora in voga – vige questa condizione di sospensione fra dimensioni diverse, fra presente e passato, fra sogno e realtà, fra verità e finzione. Alessandra Novaga ha da tempo iniziato – con la pubblicazione di due dischi dedicati – un lavoro di esplorazione della materia cinematografica attraverso una riflessione in chiave musicale sulla vita e le opere di Rainer Werner Fassbinder prima e Derek Jarman poi: adesso è la volta di Tarkovskij con un album che comprende sei brani, alcuni dei quali costituiscono una libera rilettura delle musiche di Bach, che il regista russo ha utilizzato spesso con la complicità di Artemyev, altri invece ispirati liberamente all’immaginario poetico dei suoi film. Alessandra trasla l’elemento liminale all’interno delle proprie composizioni sostanziandolo in un’esperienza di attesa o in un sentimento di nostalgia diretto non solo e non tanto verso il passato, quanto verso l’esterno, non un desiderio generico di ritorno quanto ambizione di trascendere i limiti spazio-temporali; si passa dal decostruire scarnificando il repertorio bachiano – del quale Alessandra è appassionata di lunga data – al disperderne le tracce in molteplici rivoli di suono, come nell’iniziale “Erbarme Dich”, all’utilizzo della chitarra come sintesi imperfetta di un lavoro orchestrale, nell’elegia dedicata al maestro russo. La tensione verso l’astrazione e una narrazione frammentata appaiono come forme di espressione perfettamente tarkovskijane in quanto modalità di riproduzione dell’organico risuonare del mondo, per utilizzare le parole del cineasta, ma ancor più di uno stato puramente interiore. Oltre all’utilizzo delle sei corde troviamo quello della voce, quella del padre di Tarkovskij, il poeta Arsenij con il quale il regista ebbe un rapporto conflittuale, il canto dell’Erbarme Dich, Mein Gott, catturato dagli altoparlanti di un parcheggio sotterraneo (spazio ad alto tasso di liminalità) e quella della compositrice stessa che nella traccia finale intona il tema di “Ich Ruf Zu Dir, Herr Jesu Christ”, dalla colonna sonora di “Solaris”. Quest’ultimo brano suona miracoloso nel suo magnetismo, nella capacità di catturare l’ascoltatore lungo tutti i suoi undici minuti in cui Novaga canta come un mantra la melodia bachiana, che all’inizio risulta anche poco immediata da decodificare, ma che con lo scorrere del tempo si ricompone nella sua delicata maestosità.