ALBERTO BOCCARDI, Petra

Boccardi è uno di quei nomi che mi porta sempre a drizzare le antenne. Poche tutto sommato sono le sue uscite, cosa senz’altro apprezzabile per chi si muove su terreni musicali affini ai suoi, il quale spesso è portato a mettere su disco ogni minimo spunto creativo con risultati spesso eccepibili. Alberto non appartiene a questa schiera, la sua produzione musicale sembra sempre ragionata, ogni pubblicazione sembra avere ogni volta un suo peso specifico, all’interno di un percorso musicale che passa per prove eccellenti come il disco del 2016 con Maurizio Abate o le collaborazioni con Mongardi e Bertoni.

Petra, fuori per un’etichetta importante come Room40, non sfugge a questa logica. Come può fare intuire il titolo si parla, almeno in parte, di minerali e rocce: il disco suona per l’appunto come sospeso fra una sensazione di assoluta quiete e una tristezza paralizzante. I due brani d’apertura, per quanto profondamente diversi fra loro, fanno riferimento allo stesso materiale: il primo sembra sempre essere sul punto di cedere alla tentazione della cadenza ritmica, il secondo si abbandona senza problemi a una dimensione di maggiore imprevedibilità, entrambi risultano porosi come l’arenaria a cui si rifanno, caratterizzati da una densità mutevole e varia, suonano come una stratigrafia sonora. Continuando lungo una narrazione fortemente descrittiva, il brano quattro, dedicato alla silice, è un agglomerato di suono costellato di bagliori improvvisi: la voce, quella della coreografa Cinzia De Lorenzi, si inserisce con delicatezza negli interstizi lasciati vuoti da Alberto, una debole traccia umana in un disco che sembra mostrare proprio quanto superflua sia la nostra presenza sul Pianeta.