ADSR SPQR, This Is Religion
Quello dei Gabber è stato l’ultimo movimento giovanile degno di interesse, vituperato negli anni a seguire sino a diventare sinonimo di zarragine assoluta. Nel 2017 la rave culture sta subendo un processo di decostruzione e aggiornamento, con il risultato che sempre più artisti e ascoltatori si stanno riavvicinando a questa sottocultura con esiti spesso pregevoli (si veda a tal proposito il mixtape “Nation de la Boue” di Low Jack o l’evoluzione del blog Gabber Eleganza).
Luciano Lamanna i 180 BPM li frequenta sin dai tempi della tribe Tekno Mobil Squad. In occasione della compilation digitale “Warhorse”, pubblicata da Scuderia, ha collaborato con Luca Mamone, tattoo artist dello studio Santa Sangre di Roma. I due hanno fondato ADSR SPQR, progetto che esordisce oggi sulla label romana con This Is Religion, un ep che omaggia l’hardcore e la sua attitudine ludicamente violenta, ricreandone le sonorità poderose mediante sintetizzatori modulari e l’immancabile Roland TR-909, ovviamente sepolti sotto strati di lerciume e distorsione. In quest’album troviamo tutti gli elementi canonici del genere, ma a una velocità “rallentata” che ne enfatizza la ferocia e rende ogni colpo di cassa simile ad un diretto in pieno volto.
Le prime due tracce fanno uso intelligentemente di sample tratti dal mondo punk, che conferiscono alle canzoni il sapore di veri e propri inni. L’attacco di “Religion” ricorda il famigerato hoover e fa venire voglia di indossare immediatamente una tuta dell’Australian e scatenarsi mentre John Lydon proclama lugubremente che “questa è religione, la nostra religione”. “Shared Sickness” ripesca i Crass di “Do They Owe Us a Living?” un attimo prima di scatenare l’inferno con un kick quadrato accompagnato da gorgoglii agghiaccianti di sintetizzatore.
“Immortal Sadness” gioca maggiormente con le melodie senza perdere in aggressività e chiude il disco su una nota visceralmente emotiva.
I due ADSR SPQR riescono a confezionare un tributo agli anni Novanta maturo, senza cadere in stilemi sterili: i brani sono efficaci e d’impatto anche senza far leva sul fattore nostalgia. Aggiungete il classico urlo “Thunderdome” all’inizio dei brani ed avrete la ricetta sicura per innescare una rivolta sul dancefloor.