ADRIANO ZANNI, Sequenze Di Fabbrica
Il legame che unisce Adriano Zanni al suo territorio è qualcosa che va oltre il mero senso di appartenenza, assumendo nel tempo sempre più l’aspetto di una vera e propria ossessione. Vi si immerge nelle sue forme attuali memore della storia recente, narrata dalle cronache e dal cinema, per analizzarne i tratti salienti e afferrarne l’essenza al tempo stesso ammaliante e dolorosa.
Suono e immagini sono i media scelti dall’artista ravennate per condurre quest’esplorazione: da una parte le macchine analogiche guidate dall’attitudine punk, la ruvidezza wave e le ombre post tutto, dall’altra la solitudine della provincia ghirriana, la visionarietà di Tarkovskij e Wenders e soprattutto la narrazione potente di “Deserto Rosso”.
Sono ancora questi gli elementi alla base di Sequenze Di Fabbrica, nuovo excursus sonoro-fotografico curato ancora una volta dall’ottima Boring Machines e cristallizzato in una curatissima edizione libro + vinile. Fulcro sono il paesaggio industriale dell’ANIC e ispirazione inevitabile la pellicola di Antonioni, utilizzati per costruire un itinerario tra le geometrie postmoderne di una ferita del territorio insanabile i cui riflessi vengono tradotti in suoni plumbei, claustrofobici, che ingoiano quei field recordings naturalistici altrove dominanti. Sono flussi drone-ambient penetranti, utilizzati già nell’immersione islandese di Siamo Quasi Tenebra, ma virati in chiave sulfurea, a rendere la crudezza di un ambiente straniante a cui si sommano estratti dai dialoghi del film. Impossibile scindere l’ascolto dall’osservazione degli scatti – come sempre di qualità notevole – che alternano nebbie velenose dal fascino oscuro a fotografie di scena, fermo immagine e illustrazioni. La piena ricezione dell’opera è fondamentale per la sua fruizione.
Il risultato è come sempre apprezzabile, un ottimo punto di partenza per chi non conosce la produzione di Zanni. Personalmente mi piacerebbe trovarlo nuovamente alle prese con un “altrove” capace di spingerne la creatività verso l’inatteso, posto di fronte a prospettive inedite, necessarie per trovare quella linfa che solo il nuovo può fomentare.