ADRIANO ZANNI, Passato, Presente, Nessun Futuro
Gli artisti veri, non quelli per posa o per sentirsi chiesa al centro del villaggio, sono delle bestie pure, e come animali a noi comuni sentono i terremoti prima che essi accadano.
Mi fa particolarmente piacere parlare di questo nuovo progetto di Adriano Zanni (Passato, Presente, Nessun Futuro), non solo per la stima che ho da sempre nei suoi confronti, ma per il connubio tra musica e fotografia, forse mai così forte come in quest’occasione. Le 104 pagine del book, in verità, sono molto di più, sono un passaporto e un cloud per la sua arca dove ci aspetta e ci invita ad entrare prima che sia troppo tardi. Ci sono i film, i libri, i dischi che ha affrontato in questi 240 mesi. Avanti, c’è posto per tutti.
“Immagina se tutto questo un giorno dovesse finire”, e lo scrive un attimo prima che esploda una pandemia per un virus gestito da questa generazione di politici in maniera tale da diventare un mezzo killer anche per alcuni di loro. Il mondo per Zanni è una continua sottrazione fino ad arrivare all’essenza delle cose, che spesso è un gesto sospeso, o che è stato. Nel mondo zanniano il mare fa il mare, i cani fanno i cani, le pecore fanno le pecore, i preti fanno i preti. Non è così semplice né scontato che sarà di nuovo così, una volta tornati alla vita senza limiti dopo questo periodo di emergenza. Dovremo far passare l’adrenalina degli eccessi che vivono e muoiono in un giorno e una notte, e prendere in mano questo box di musica e immagini, perché dovremo recuperare il tempo perduto ripartendo da solide fondamenta, non da tetti poggiati sul nulla, non sprecare altro tempo né altre energie implose.
Immagina se tutto questo un giorno dovesse finire, e tu guardi queste foto in bianco e nero chiedendoti sul momento “ma non è già tutto finito? È rimasto solo il bianco e il nero…”
Poi posi quelle fotografie su un tavolo, inizi una strana danza che faccia girare le foto, il tavolo e te stesso, tutto insieme. Scopri che in realtà quelle foto rettangolari hanno un unico comune nucleo centrale: la luce. Qualsiasi cosa appaia come il soggetto delle foto di Zanni, in realtà è l’oggetto creato dalla luce, che è il vero motore di tutto.
Le 13 tracce musicali sono un caleidoscopio di suoni e di memorie, ci sono cose alla Fennesz quando Fennesz era Fennesz, ci sono paesaggi sonori dove non sai veramente se sei il vento che passa tra gli alberi o l’albero stesso, strutture meccaniche dove possiamo ritrovare gesti quotidiani che compiamo per inerzia, senza accorgercene, ma Zanni ha scelto di stare imperturbabile sull’altra carreggiata della stessa strada, da dove si vede meglio e tutto, e ce lo certifica in maniera definitiva.
Questi primi vent’anni del nuovo millennio visti e musicati dall’artista ravennate si completano perfettamente con i bunker years di Gianluca Becuzzi: tanto quelli sono suoni e visioni dall’interno di un rifugio necessario del corpo e dell’anima, quanto questi sono il mondo esterno filtrato da chi anche in centro a New York camminerebbe con gli occhi e il passo di chi sta perennemente sull’argine di un fiume padano in pieno inverno. Dove ogni passo è prezioso, misurato, mai banale e a volte la pausa tra uno e l’altro ti fa cogliere attimi che non capiteranno mai più.
Poi vieni a conoscenza di un nuovo lavoro del musicista toscano sulla voce, e scopri che ha progettato l’artwork del disco interamente su foto di un certo Adriano Zanni. Ma tu guarda un po’ le coincidenze eh…