ADRIÁN DE ALFONSO, Viator

Forse partire da zero per ascoltare Adrián De Alfonso e il suo Violator è l’unica via.
Già, che andare a ripercorrere la carriera fatta come Don The Tiger potrebbe in qualche modo falsare le carte, del resto è lui stesso ad aver cambiato “ragione sociale” riprendendo il nome di battesimo, fattore che segna come minimo un punto a capo.

Il problema, bellissimo problema, è che Adrián è un pazzo scatenato, musicista e performer che riesce a trasformare bozzetti in canzoni, parole in racconti epici, legni e metalli in echi e suoni. A questo aggiunge bolle, cigolii e frequenze radio, portandoci con sé in un mondo che non ha più nulla di ciò che stringevamo fra le mani prima di indossare le cuffie. Potrebbe essere musica da ballo spagnola e catalana, ma ha la complessità e alcuni strumenti del jazz, l’aria del teatro e la fisicità della scultura, o della creta quando è ancora sul tornio. A tratti Adrián sceglie di esprimersi attraverso vere e proprie canzoni, cantate e musicate insieme al contrabbasso di Mike Majakowski, altre volte utilizza brusii sommessi, gemiti, cori silenziosi e intenzioni a colorare un quaderno di schizzi, scheletri che esprimono una forma calorosa di anima musicale, porosa e grassa quanto la mina di un lapis 8B. Altre volte sembra di ascoltare la libertà delle casse armoniche della chitarra risuonare e stropicciarsi in suoni calorosi. Attorno a tutto questo c’è vita e ci sono gli ambienti dove Violator ha preso forma: Berlino, il deserto attorno ad Almeria e la Valle di Alpujarra presso Granada. Ci sono i musicisti e i ballerini, i coristi diventati ingredienti e personaggi delle storie fragranti di Violator. Siri Salminen, Andi Stecher, Malú López-Lafuente, Victor Herrero, Lorena Álvarez e Marcos Flórez.

C’è, soprattutto, un’idea di album che colpisce ed emoziona a livello di puro suono, prima di arrivare a tecniche e significati, lasciando spazio ad approfondimenti ed analisi che potranno svelare altre profondità e meraviglie. Citare un brano e non un altro non avrebbe senso: nel caso voleste iniziare da uno spunto, ripassate ciò che già scrissi su “Postrer Ciclón” qualche settimana fa, considerate però che quella di Adrián De Alfonso è una porta che conviene aprire per chiudersela alle spalle e vivere un viaggio straniante, affascinante e magico. Non vedo l’ora di aprire la bucalettere e trovare questo disco, scartandolo come un regalo e andando in risonanza con i suoi suoni e le sue storie.