ABHOMINE, Proselyte Parasite Plague
Abbiamo già avuto modo di conoscere gli Abhomine, il parto più recente di Pete Helmkamp, noto alle cronache principalmente per la sua militanza in Order From Chaos e Angelcorpse, senza scordare Revenge e Kerasphorus. Il precedente Larvae Offal Swine mi era piaciuto. Forse una voce un po’ fuori dal coro, la mia. Leggendo un po’ di commenti sparsi in rete, non avevo ritrovato enormi entusiasmi per la loro musica sospesa fra black e death metal. Il timbro vocale di Helmkamp era sicuramente il trait d’union principale con le sue precedenti esperienze (escludendo i Revenge, dove non canta) e un grande motivo di fascino del nuovo progetto Abhomine. Questo nuovo Proselyte Parasite Plague condivide col suo predecessore la breve durata e l’approccio chitarristico a base di molti riff che creano un substrato sonoro dinamico, senza soste e spesso dissonante. Il suono della chitarra magari non valorizza questo aspetto del disco, ma con un minimo di attenzione ci si diverte parecchio. Ciò che, invece, appiattisce un po’ il tutto è l’aspetto ritmico, e questo è un passo indietro rispetto al precedente disco. Mancano nella batteria quella tempestosità e violenza che richiederebbe un approccio chitarristico come quello descritto. E, del resto, che richiederebbe pure una copertina del genere, la quale, magari a causa di un mio personale retaggio, evoca fantasmi del Go Nagai più rozzo e primitivo (Devilman, Mao Dante…). Ci troviamo davanti un motore di grossa cilindrata, ma col freno a mano tirato. Non posso dire che sia andata male, ma poteva andare molto meglio.