ABBATH, Dread Reaver
Abbath (*): una carriera extra Immortal con più di qualche caduta (tranquilli, tra un attimo la capite), arrivata a questo disco del 2022 che forse non lo consacra “Lemmy del black metal”, ma che lo rimette in piedi grazie a una serie di pezzoni semplici semplici (c’è una reprise dei primi Metallica dentro, non di Scott Walker) con qualche richiamo al passato estremo (tanti blast beat e comunque da quelle sei corde il black non è sparito): la sua mano contiene moltitudini di riff, la sua testa è imbottita di lezioni dei classici, dalla NWOBHM agli ovvi Motörhead: per questo, senza sforzo, può imboccare quasi tutto il pubblico metal coi suoi brani senza che nessuno allontani il cucchiaino. Questo è Dread Reaver e se hai presente gli Immortal già sai cosa sta per succedere: il metal degli anni Ottanta suonato da uno che ha definito il black metal degli anni Novanta, operazione che del resto – a modo loro e non così leccati – hanno fatto i Darkthrone, “immediatezza” alla quale sono arrivati i Satyricon, tentazione a cui ha ceduto Ihsahn con qualche citazione dei Mercyful Fate di troppo, e via andare con tutte le derive black’n’roll del mondo, fino a gente come gli Okkultokrati… In alcuni momenti poi (non sempre, perché a volte sembra solo scemo, ma in alcuni momenti sì) il suo modo di cantare alla Lemmy potrebbe fare scuola.
In macchina Dread Reaver è una bomba, niente di meno, niente di più.
* Abbath (Abbath Doom Occulta, per la precisione) è il norvegese Olve Eikemo (bassista, chitarrista e all’occorrenza batterista classe 1973), oltre che uno dei due fondatori degli Immortal (tra i 4-5 pilastri della scena black metal norvegese dei Novanta).