AA.VV., Unusual Sounds
Quando si tira in ballo la musica per sonorizzazioni, in genere la discussione finisce per polarizzarsi: c’è chi la considera una miniera di preziosità confezionate dalle mani sapienti di geni incompresi e chi invece la ritiene musicaccia per ascolti distratti, assurta furbescamente a moda. Come spesso accade, la verità sta nel mezzo ed è necessario separare il grano dal loglio, distinguere fra artisti dall’incredibile ingegno e artigiani più o meno onesti che tentavano di portare a casa la pagnotta con le sette note.
Alle orecchie di chi è nato e poi cresciuto in Italia fra gli anni Sessanta e Settanta va detto che i suoni della library music sono tutt’altro che insoliti come vorrebbe il titolo di questa compilation: costituiscono il liquido amniotico dentro al quale abbiamo sguazzato, nel grembo benevolo di mamma Rai, fra telegiornali, documentari e sigle televisive. Forse per un americano la faccenda è diversa ed è lo stesso David Hollander, curatore della raccolta come pure del libro a essa legato, a raccontarci come nei medesimi anni la musica per sonorizzazioni negli USA fosse quasi esclusivamente un prodotto d’importazione, visto che il mercato interno era intralciato dalle organizzazioni sindacali dei musicisti, assai poco disinvolte sulle questioni di diritti d’autore. Differente era la situazione in Italia, dove vigeva il cosiddetto “inghippo”, raccontato esaustivamente da Valerio Mattioli in Superonda: un accordo poco limpido – per usare un eufemismo – che soddisfava molto sia i musicisti (i quali oltre a guadagnare qualche soldino vedevano pubblicate le loro fantasie musicali proibite), sia i consulenti Rai, che lucravano senza scrupoli e senza conseguenze negative da tale situazione. Hollander per questa compilation attinge principalmente dalla Germania, versante poco esplorato delle sonorizzazioni, quindi da Italia, Regno Unito, Francia e da un paio di autori di origine slava (gravitanti però sempre attorno alla discografia tedesca e francese).
La raccolta parte con un pezzo che risulterà familiare ai più, la “Funky Fanfare” che Tarantino ha utilizzato come opening theme in almeno un paio di pellicole: la linea che da qui in poi viene seguita, diciamolo da subito, non è delle più coraggiose, perché si va ad esplorare il lato più facile e pittoresco della library music, quello della lounge e dell’easy listening, quello di musiche che fin dagli anni Novanta fanno da sfondo ad aperitivi e serate retrofile. L’impressione è che le scelte di Hollander non rendano merito alla complessità che riuscì a raggiungere questo genere di materiale, ad esempio nel nostro Paese, dove molto spesso si sfornavano, con la scusa di sonorizzare immagini per il piccolo schermo, musiche aliene e inclassificabili, che stazionavano fra avanguardia colta, protoelettronica e fughe in avanti giovaniliste: tutta quella roba che tanto ha influenzato gli inglesi Demdike Stare o l’intero filone dell’Italian Occult Psychedelia. Hollander tira fuori lo Stefano Torossi di Feelings (disco di lounge felpatissima, ultranoto agli appassionati del genere e firmato sotto mentite spoglie in compagnia di Puccio Roelens e Giancarlo Gazzani), il prolifico Franco Micalizzi (la cui “Night Breeze” andrebbe benissimo sulle scene di un film softcore), il duo Cordio-Vinciguerra (la cui sambetta da veglionissimo rimane degna del Maestro Canello di fantozziana memoria); in qualche modo rimane interessante il brano di Daniele Patucchi, che sembra fare il verso ai lavori di Morricone per Dario Argento, anche se è ragionevolmente meno audace e con meno frecce al proprio arco. Legata all’Italia è inoltre la figura di Joel Vandroogenbroeck dei Brainticket (band di rock psichedelico formata da musicisti di diverse nazionalità e per molto tempo di stanza a Roma, coinvolta in un sodalizio con i Living Music di Umberto Santucci e Gianfranca Montedoro): contemporaneamente all’esperienza con questo gruppo, il musicista belga si era già dedicato qui da noi alla musica per sonorizzazioni con un disco intitolato L’Immagine Del Suono, licenziato per la mitologica Flirt Records. I brani di Vandroogenbroeck scelti da Hollander sono due e risalgono però a un periodo successivo: sono infatti dei primi anni Ottanta, infatti, la fricchettonissima “Fairy Tale”, chitarra e flauti di Pan su ritmo sintetico, in compagnia del boss della Sonoton, Gerhard Narholz, e la lunga e ben più consistente “Group Meditation”, un fluire lento e misurato in interessante anticipo rispetto alla New Age che è anche, forse, uno dei pochi brani meritevoli dell’intera raccolta. Per il resto troviamo infatti musichette ormai abusate per polizieschi di quart’ordine, discomusic praticamente inascoltabile e paccottiglia cosmica: menzione per Vincent Geminiani, autore interessante, con un pezzo di lounge malinconica sporcata da scie di rumore e la morbida tirata di piano elettrico di Roland Hollinger, anche lui francese, che chiude la compilation.