65DAYSOFSTATIC, 25/10/2013
Bologna, Locomotiv Club.
Continua la possente programmazione offertaci quest’anno dal Locomotiv Club, che solo nell’ultimo mese ci ha già intrattenuto con Fuck Buttons, Chelsea Wolfe e Russian Circles. Il locale nella prima periferia di Bologna (già in passato all’altezza di eventi che necessitano di un’adeguata impostazione audio) arricchisce i suoi progetti puntando a un altro gruppo di enorme valenza artistico-musicale: 65daysofstatic. La band di Sheffield viene giustificatamente immaginata all’interno di un contesto post-rock, ma chiunque l’abbia ascoltata sa che questa etichetta è molto limitante per descrivere il genere che verrà suonato e sa che il gruppo si è sempre distinto da qualsiasi corrente convenzionale, agganciandosi a rami molto più sottili quali il math rock e, soprattutto negli ultimi tempi, alla musica elettronica. Forse anche per questo motivo i 65daysofstatic non sono poi così tanto apprezzati da quegli amanti del post-rock più sospettosi nei confronti di contaminazioni, sconfinamenti o ibridazioni.
Iniziano gli sleepmakeswaves, compagni di etichetta dei 65daysofstatic: sono un gruppo post-rock ed il problema è che qui si esaurisce la loro definizione. Nonostante in Italia siamo abituati ad affibbiare questo termine a gruppi diversi come Massimo Volume, Sparkle In Grey, Giardini Di Mirò… personalmente ritengo il post-rock, quello semplice senza aggiunte, un genere che è più difficile sbagliare che azzeccare, nel senso che è easy listening, molto atmosferico, evocativo, nostalgico e malinconico. Il discorso che si può fare per il gruppo di Sydney è lo stesso che vale per mille altri: mi vengono in mente i Mooncake, i nostrani Architecture Of The Universe, ma non li penso troppo distaccati anche da colossi come Mogwai o Explosions In The Sky (anche se, certo, questi ultimi due sono arrivati prima). Insomma, potrei dire che gli sleepmakeswaves propongono un bellissimo post-rock, con ottimi pezzi cliché eseguiti a canovaccio con occhi chiusi e gambe unite. Potrei aggiungere che il loro live mi piace, mi fa viaggiare e che l’utilizzo delle luci e del fumo è da manuale, come tutto il concerto, ma non credo avrei dato un giudizio diverso trovandomi davanti a qualsiasi altro gruppo post-rock non sperimentale odierno.
Discorso del tutto opposto meritano invece i 65daysofstatic, che, alchimisti sperimentatori, sono dei veri perfezionisti. Il suono, la presenza scenica, la professionalità, la tecnica, tutto è da lode. Nell’istante esatto in cui cominciano, il pubblico nel suo insieme rimane a bocca aperta: la precisione con cui ogni singolo gesto è compiuto stupisce e incanta. Lo spettacolo, perché proprio di questo si tratta, viene variegato dall’utilizzo di una vasta strumentazione, che comprende – oltre al set strumentale di chitarre e bassi – sequencer, distorsori e sintetizzatori, utilizzati soprattutto nell’ultimo Wild Light (Hassle / Zankyo, 2013) per intingere nell’elettronica un suono matematico. Il concerto dura un’ora e mezza, e prosegue dritto e deciso, con un leggero appiattimento verso la metà, subito riportato al picco grazie a “The Fall Of Math”, title-track del primo album (Monotreme, 2004) che rimette in carreggiata la situazione, spingendo al massimo l’entusiasmo del pubblico e i suoi ritmici movimenti di capo. È davvero difficile stare dietro alla band: gli strumenti, in particolare le chitarre, cambiano in continuazione, ci sono membri che compaiono e scompaiono durante i brani, il tastierista a volte utilizza la chitarra, altre volte un rullante aggiuntivo, poi si sposta sui vari apparecchi elettronici, e lo stesso vale per il bassista. Arrivano pezzi inframezzati da parti ritmiche tribali, rese grazie a grandi timpani suonati all’unisono da tutti i membri. Mi godo la serata dalle file centrali, seguo con entusiasmo i pezzi che conosco meglio, nei quali noto maggiormente il virtuosismo dei componenti, che non si lasciano scappare neanche un errore, azzeccando del tutto quel suono a metà fra l’atmosferico e il progressivo. Sembrano davvero godersela, sanno di cosa sono capaci e lo fanno con stile. Forse di tanto in tanto ci sono esagerazioni emotive, quando, presi dalla fama, giocano a fare le rockstar. La scaletta prevede quasi tutto l’album nuovo, ma non vengono tralasciate le migliori canzoni presenti nella discografia del gruppo: l’insieme, variato molto nello stile e nel sound, va a costruire un live-show incredibile.
Le foto sono di Lorenzo Bulfone per Shiver. Ringraziamo per il permesso di utilizzarle a corredo dell’articolo.