LAWRENCE ENGLISH, Observation Of Breath
La respirazione è il classico atto bio-meccanico che appare alla consapevolezza e all’auto-percezione solo nel momento della mancanza, della patologia. La dispnea, sensazione soggettiva di difficoltosa respirazione, è un’evenienza terribile anche perché fa emergere l’atto come cosa biologica in sé e non come evento liminale, scontato. L’ingresso e la fuoriuscita di aria divengono un qualcosa di “realmente” vitale proprio perché coscienti. E vale lo stesso per il battito cardiaco o la digestione, che, tra l’altro, sono tutte funzioni con una specifica connotazione sonora.
Focalizzarsi sul proprio respiro, senza scomodare la patologia, notare l’infinita serie di movimenti osteo-muscolari, l’impercettibile vibrazione di naso, bocca e quindi laringe e trachea, percepire l’espansione della gabbia toracica, l’abbassamento e innalzamento del diaframma, è un qualcosa che sarà capitato a molti e rappresenta un punto di contatto con il proprio corpo certo accessibile ma non per questo meno affascinante.
Il respiro è fisicità ma anche impegno psichico, concentrazione, oltre che programmazione cerebrale più o meno volontaria ed è, rifacendosi alla definizione di “dispnea” ricordata prima, un qualcosa di primariamente soggettivo. Tutta questa riflessione, com’è forse ovvio, viene magnificata nel contatto con l’altro, nella sincronizzazione del respiro, nello sfasamento e nelle piccole differenze di frequenza e intensità.
Lawrence English, compositore australiano attivo ormai da diversi anni negli ambiti della musica concettuale e che vanta innumerevoli produzioni e collaborazioni, a quanto pare ha percorso strade simili ma, oltre all’introspezione e al lavoro sulla propria meccanica respiratoria, ha intrapreso un proficuo scambio con un organo del 1889, ospitato all’Old Museum di Brisbane, sua città natale. Non c’è quindi solo osservazione, come giustamente si nota nel titolo, ma anche azione. Il compositore è la forza che regola il respiro dell’organo. Non si tratta però di una mera rappresentazione dell’umano nella “macchina”: uno strumento del genere, con le sue dimensioni e la sua fisicità, non potrà mai respirare come noi. Quello che si crea è un rapporto fra ingranaggi, un enorme sistema di azione-reazione incentrato sul respiro come fenomeno acustico. Ascoltando il disco si ha come l’impressione che fra musicista e strumento non ci sia percepibile soluzione di continuità. Se non venisse esplicitato nel booklet, la qualità sonora dell’opera, ammettiamolo, non proprio eccelsa, non permetterebbe di distinguere la registrazione proveniente dall’organo da quella di un banalissimo microfono a contatto attaccato al naso, o alla bocca, di English. E sia chiaro, non è una nota di demerito.
Oltre ad un livello “fisiologico”, che riguarda la dinamica del respiro come atto meccanico di ingresso e fuoriuscita di aria, English è affascinato dalla dimensione fisica, vibratoria, dell’atto. Trasportare ciò che per un essere umano è quasi impercettibile in una macchina enorme come un organo, produce effetti intensi: accanto all’udibile c’è tutto un corredo di vibrazione percettibile dal corpo più che dall’orecchio. Una cosa ben nota ai droners più tellurici e che nella performance crea uno strano feedback con lo strumento che, se letto e interpretato correttamente, conduce l’artista a continue epifanie acustiche. Il limite di un disco come Observation Of Breath è proprio questo: noi ascoltatori sappiamo ed immaginiamo la relazione fisica fra strumentista ed organo ma non possiamo raggiungerli nella loro comunione. È sufficiente godere della progressione melodica, delle texture timbriche che si sviluppano, della densità sonora sprigionata? Riflettendoci forse sì, ed è ciò che rende quest’opera comunque godibile nei suoi quaranta minuti di fluttuazioni pneumatiche.