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299, The 299 Game

Del grande fascino che le distese assolate e desertiche degli Stati Uniti ancora esercitano sui nativi del Vecchio Continente, tanto è stato scritto, detto e anche suonato: non apporta dunque nulla di nuovo, in campo musicale, l’esordio solista del gallese Gavin Fitzjohn, bassista e arrangiatore noto soprattutto per i trascorsi con i Manic Street Preachers, ma risulta un ascolto piacevole e straordinariamente adatto al caldo estivo.

Per qualcuno avvezzo soprattutto al fertile verde delle dolci colline del Galles, trascorrere oltre dodici mesi tra Arizona, Louisiana, Texas, Florida e California appare come un deciso cambio di paradigma: armato di una strumentazione ridotta e autarchica (una chitarra, piatti e scatole e una manciata di monete per le varie percussioni), Fitzjohn si è avviato sulle tracce del Dylan più polveroso, dei Calexico e di alcuni american-hero più o meno noti (dal celebre Ry Cooder al misterioso Bruce Langhorn). Adottando così l’alias numerico 299, Fitzjohn ha scritto e realizzato dieci brani dalla durata sempre ridotta (in sei casi si passano i tre minuti, ma mai si superano i quattro) che convincono soprattutto per la grandiosa felicità melodica: l’esempio perfetto è rappresentato da una “Sugar And Spice” che, in neanche centoventi secondi, chiarisce come il musicista gallese si sia ben calato nella nuova dimensione sonica e geografica. Da quella scheggia di memorabile semplicità folk si passa alla più strutturata “Truth Or Consequence”, in cui la lezione morriconiana si accompagna a un’efficace malinconia solitaria. Altrove fanno capolino furbi e validi accorgimenti da studio (le distorsioni applicate alla voce) che non tradiscono però l’attitudine polverosa e la ricercata immediatezza da live (“A Short Goodbye”). Al netto di una certa ripetitività nelle atmosfere, il progetto 299 azzecca spesso ritornelli appiccicosi (“Picking Through The Scraps”) e traccia collegamenti, certamente non inediti ma sempre efficaci, tra tradizioni rock differenti (le tentazioni punk “You Know Those Things You Wished For?”) e conclude appropriatamente il viaggio con il coinvolgente struggimento notturno e latineggiante di “Watertown”.