Chi sogna di giorno è pericoloso

Riflessioni a margine di “FRANTI – PERCHÉ ERA LÌ. Antistorie da una band non classificata” (libro + dvd). A cura di Cani Bastardi (Nautilus Edizioni).

franti

Fare luce per non perdersi

I Franti o si amano o si ignorano, c’è poco altro da aggiungere. Se siete tra quelli che hanno consumato i loro dischi saprete bene di cosa vado scrivendo. Se invece non li avete mai conosciuti, allora un libro di questo tipo può fare al caso vostro, ma attenzione: non vi aspettate la biografia dal classico sapore “agiografico”, utile ad alimentare il mito della band di turno. Non è intenzione del collettivo di autori che si cela dietro questa pubblicazione, tantomeno del sottoscritto, osannare chicchessia: tempo fa m’ero già occupato di descrivere la storia e i dischi della band composta da Lalli, Stefano Giaccone, Massimo D’Ambrosio, Vanni Picciuolo e Marco Ciari.

La Storia e quello che c’è dentro

Magari la cosa non vi sembrerà fondamentale, tuttavia credo rimanga necessario farsi un’idea del contesto nel quale i Franti nascono e operano: stiamo parlando della Torino che vede un forte cambiamento sociale ed economico a cavallo tra fine Settanta ed inizio Ottanta (la “marcia dei quarantamila” della FIAT, il Terrorismo), uno dei saggi più interessanti non manca infatti di raccontarci cosa succedeva a quei tempi nella città dominata dalla famiglia Agnelli. Il libro è diviso in quindici capitoli, tanti quanti le pietre del giardino (che fa riferimento a una leggenda medievale giapponese) citato in un loro importante disco, Il Giardino Delle Quindici Pietre (uscito per la Blu Bus degli amici valdostani Kina) appunto, in cui si prova, riuscendo nella gran parte, a descrivere cos’era davvero la loro musica, cosa rappresentava, anche simbolicamente, e da quali contesti sociali e culturali, soprattutto di lotta, traeva spunto. Per il torinese politicizzato dei tempi era poi logico associare la lotta quotidiana davanti ai cancelli delle fabbriche alla passione per il Torino Calcio (la squadra proletaria, che soffre…) e il relativo odio per la Juventus, la squadra del padrone, l’elemento sempre vincente che deve distrarre la massa dall’asfissiante catena di montaggio quotidiana (ne accennava sagacemente Lucio Fulci in “Nonostante Le Apparenze… E Purché La Nazione Non Sappia… All’Onorevole Piacciono Le Donne”, era il 1972), tanto che a volte si ha la sensazione che queste “antistorie” siano scritte da focosi ultras travestiti da arguti intellettuali, o forse è il contrario, ma poco importa. Quello che importa per davvero è che i Franti sono stati un gruppo fondamentale per interpretare meglio quei tempi (leggendo il libro lo si comprende bene e si vede che ne è passata tanta d’acqua sotto i ponti…) e per capire altresì dov’è andata a finire la Storia della musica rock italiana, che successivamente ha scelto altre strade di certo meno politicizzate e forse ha perso le proprie peculiarità, compresa una certa naïveté di fondo. Insomma, è tutto collegato da un filo che ci tiene per la gola e che ci porta a fare determinate scelte, pena l’esclusione dalle regole della società? Questo magari resta sempre da dimostrare. Viene da pensarlo, però, se si approfondiscono come si deve gli anni Ottanta, periodo di lotta e al contempo di perdita di senso (c’era chi cercava in tutti i modi di non soccombere, vedi l’hardcore-punk, l’ironia pop e bastarda degli Skiantos, i fumetti di Andrea Pazienza e Frigidaire, un personaggio incredibile come Gianni Sassi, ma sto sintetizzando parecchio) che sfocia nel movimento studentesco della Pantera e nelle posse (siamo nei primi Novanta), ma che ad un certo punto svanisce per sempre e si frantuma in mille micro-realtà tutte più o meno collegate, forse, ma operanti in ambiti col tempo sempre meno politicizzati e pure piuttosto diversi tra loro. Le situazioni (le generazioni, va da sé) sono cambiate profondamente dai Novanta in poi: per fare un esempio banale, rimasi scioccato quando qualche anno fa passai in via Stalingrado a Bologna e vidi coi miei occhi che al posto del Livello 57 (simbolo di quei Novanta) avevano costruito un mega-palazzo residenziale; potrei citare altri casi, da tempo la chiamano “gentrificazione”. Basta poi pensare a cos’è rimasto di quegli anni e delle ristampe che escono una dietro l’altra, in particolare del mondo hip hop, forse quella parte di “antagonismo” che meglio ha saputo esprimere ai tempi il distacco da una società che si preparava alla globalizzazione. I Duemila sono poi ancora altra cosa, tra forti rimasticature estetiche, musica “liquida” e doverosi ripescaggi di tempi e mode che credevamo dimenticati, ma che ciclicamente tornano, a volte per fortuna, altre no. Anche questo a suo modo è un libro vecchio stile, che si prende i suoi tempi e racconta di un mondo complesso, che si nutre ancora di sensazioni, citazioni, di fotografie, di vite sfatte dal tempo che passa inesorabile, di imprese, rinunce e profondi cambiamenti.

Come dicevo in apertura: i Franti o si amano o si ignorano. Grazie alla lettura di questa pubblicazione (incluso dvd con stralci di materiale dell’epoca) per la storica Nautilus (celebre il box Proclami / Suicidio dei CCC CNC NCN, pubblicato nel 1993) si potrà meglio comprendere di che pasta era fatta la società prima che la tecnologia arrivasse a condizionare in modo più sistematico rispetto a trent’anni fa, nel bene e nel male, le esistenze di tutti.