217, la Costa Est non è poi così tranquilla
Il nome è nuovo ma racchiude in sé alcuni volti noti della Pescara Hardcore, a cominciare da Ivan, tra l’altro già cantante degli Straight Opposition e organizzatore del festival PEHC, oltre ad essere uno dei volti più consciuti e attivi della scena locale. Dopo aver assistito alla nuova edizione del festival e aver ascoltato il debutto dei 217, Atheist Agnostic Rationalist, abbiamo pensato fosse giunto il momento di fare il punto della situazione.
Ciao Ivan, partiamo con il presentarti ai nostri lettori: ti ricordi come è nata la tua passione per la musica e cosa ti ha spinto a passare dal ruolo di mero ascoltatore a quello di parte attiva della scena come cantante, organizzatore di eventi e quant’altro?
Ivan Di Marco (voce): Ciao Michele. Ho iniziato da molto piccolo. Da subito, c’è stato un trasporto emotivo che nessun’altra cosa era in grado di darmi. Aggiungici che ho cambiato molte volte casa e creare delle vere e proprie comitive era difficile, quindi passavo molto tempo da solo con la mia unica compagna. Il rapporto è stato così forte da spingermi a fare qualcosa di più e intorno ai tredici anni ho messo su le prime band con altri compagni di scuola, fino a fare le cose più seriamente.
Sebbene molti ti conoscano come cantante degli Straight Opposition e ora dei 217, hai all’attivo anche qualche esperienza in altre band. Ti va di farci un breve excursus sulle tue varie esperienze dietro un microfono? Cosa ti hanno lasciato come cantante e come persona?
La musica mi ha salvato dalla monotonia statica della vita del ceto medio. Come persona mi ha permesso di viaggiare e conoscere tantissime altre persone, città e situazioni sociali. Come cantante non saprei, perché mi reputo solo un fottuto urlatore. Le precedenti esperienze sono state nel death/thrash/doom negli anni Novanta. Nel ‘94 cantavo nei Consecrated, poi dal ‘96 al ‘98 nei BSH, dal ‘99 al 2002 nei Resurrecturis. Ma dentro di me c’era il trip di fare Hardcore e dal 2004 è partita, in sordina, l’esperienza Straight Opposition.
In occasione dell’ultimo Pescara Hardcore Fest gli Straight Opposition si sono riuniti per una sera che credo ti abbia provocato qualche brivido lungo la schiena… Come è andata e come è nata l’idea di trovarsi insieme sul palco ancora una volta?
È stato tutto così veloce che non ho avuto il tempo di rendermene conto. Riguardo all’idea di risuonare insieme, ne parlottavamo da lontano senza dirci mai esplicitamente “sarebbe figo farlo”. Alla fine abbiamo quagliato, ed è stato divertente.
Del resto, la scelta dell’occasione per questa reunion estemporanea non sembra casuale: come Straight Opposition siete stati per anni sinonimo della scena hardcore di Pescara e tu sei coinvolto direttamente nel PEHC Fest come organizzatore, chi ti aiuta in questo e che tipo di difficoltà comporta una sfida del genere?
Gli Straight Opposition erano sinonimo di Pescara Hardcore. Avevamo ricreato un piccolo movimento che si è sfaldato in pochi anni. Io sono rimasto ancorato alla mentalità: “se finisco, finisce tutto e questo non mi va, perché amo troppo la cultura hardcore punk”. Però, devo essere realista: se nessuno mi aiuta di più in termini di energie, se devo trainare io a quasi quarantuno anni un movimento, potrei anche rilassarmi e smettere. Poi lo dico ma non lo faccio. Sono un maniaco. Ma sto seriamente sperando nel ricambio generazionale. Dove sono i diciassettenni con la felpa, gli shorts e la passione per la musica incazzata? Dove si nascondono? Fatevi avanti! Portate avanti il Pescara Hardcore Fest!
La cosa che colpisce è la voglia di creare un’occasione che superi la mera esibizione dei gruppi sul palco, per concentrarsi sullo stare insieme, condividere, creare nuovi legami e rinsaldarne vecchi, mi sbaglio?
Certo, infatti eravamo tutti ultra trentenni! Scherzi a parte, il Pescara Hardcore si pone come obiettivo di far conoscere l’hardcore e creare nuovi adepti anziché fare un concerto fine a sé stesso. Respirare quell’aria, le distro, i dischi e ovviamente la musica folle e non convenzionale dovrebbe infoiare più di una persona giovane, proprio come accadeva a noi.
Questa attenzione ai rapporti umani e al creare qualcosa che vada oltre la mera musica è stato sempre il tratto distintivo delle tua attività. Ricordo bene come anche sul palco tu non abbia mai evitato di parlare di politica e di società, cercando di far passare con la musica anche messaggi importanti. Credi che ci sia ancora posto per questa attitudine nell’epoca dei social e del populismo?
Sì. Musica, parole e fisicità. Bisogna farlo intelligentemente però. Una band molto brava, ma arida di contenuti, fa tanto danno quanto una band brutta ma piena di slogan riciclati. Rischi di tornare a casa vuoto oppure quasi infastidito.
Arriviamo così alla tua nuova creatura, i 217: come sono nati e da dove viene il nome?
I 217 nascono dalle ceneri dell’ultima line-up degli Straight Opposition. Era ora di fare qualcosa di nuovo. Dopo l’ultimo anno fatto di cinquanta concerti promozionali per The Fury From The Coast, la storia si era felicemente chiusa. 217 gioca un po’ con la frase “talking to the guys (the seventeen)”. Ma non solo, 217 accenna all’anno 2017, uno dei più assurdi e drammatici per me, che segna la fine degli Straight Opposition e un nuovo inizio. A questo aggiungici che volevamo un nome in cui significante e significato non fossero in stretta e immediata relazione, quindi con un che di “esoterico”. E, in ultimo, ci gasava l’idea di un nome breve in omaggio a band storiche come 108, Die 116…
Non posso negare che un titolo come Atheist Agnostic Rationalist, così come quello del brano “Marcusian” mi abbiano incuriosito molto. Possiamo parlare di una sorta di concept che unisce i testi o comunque i temi del disco?
Per certi versi sì, perché porsi come ateo, agnostico e razionalista significa interrogarsi, distaccarsi e agire, per tutti i nove pezzi del disco non si parla d’altro. “Marcusian” è il collante concettuale principale di tutto il disco: “Just look at this world, In a scenario dialectical, Observation, Intuition, no more faith in ISMS!”.
Tra le influenze citate Slapshot e 108, guarda caso due gruppi che ho visto ai tempi d’oro proprio a Pescara. Credi che quegli anni e quei concerti abbiano lasciato un segno nella scena locale nonostante il molto tempo passato? Che differenze vedi tra la città nei Novanta e in questi giorni?
Quegli anni hanno lasciato un segno custodito ormai da pochi però. Altri sono arrivati in seguito creando qualcosa di nuovo, ed è giusto che sia così. Certo, ho partecipato a cose davvero incredibili che hanno acceso il fuoco, e vivranno per sempre dentro di me, ma guardare a quei giorni è come guardare ad un’altra epoca e non credo sia più possibile fare confronti. Sono cambiate davvero troppe cose.
Se riguardi indietro e pensi ad oggi, cosa credi ti spinga a sbattere ancora la testa contro il muro e provare a cambiare il piattume culturale che ci circonda? Ti sei mai detto ora smetto e mi limito ad ascoltare i dischi?
Sì ma se smetto cosa mi rimane? Non vedo alternative. Non ho interessi tipici della mia età. Non mi frega del conto corrente e non identifico la mia vita con il lavoro che faccio, fonte di mera sopravvivenza. Cosa invento se questa è sempre stata la mia vita? Faccio un mutuo e compro casa? Aspetto di portare la catena produttiva fino alla bara senza avere un mondo in cui rifugiarmi attivamente? Sono drammi amico mio, prima o poi dovrò farci i conti, ma meglio poi eh…
Grazie mille del tuo tempo, sentiti libero di concludere questa chiacchierata come preferisci. C’è qualcosa che non ti ho chiesto e che vorresti dire ai nostri lettori?
Allora, grazie per l’intervista ai 217 di cui sono/siamo onorati. Vorrei aggiungere che i tempi sono duri e bisogna continuare sulla strada di Musica, Parole, Azione. Il nostro linguaggio è pericoloso perché porta testa e fisicità altrove. Quello che facciamo è e sarà sempre un contro-movimento indeterminabile.