1476, Wildwood / The Nightside Ep
Ho incrociato per la prima volta la strada di questo duo del New England nel 2012, in occasione dell’uscita del loro secondo album autoprodotto, Wildwood, e dell’ep The Nightside. Rimasi sinceramente colpito (soprattutto dall’ep) e da allora mi domando come mai il loro nome non sia mai andato oltre un culto sotterraneo e ristrettissimo, visto che la loro musica ha evidenti possibilità di conquistare consensi ben più ampi. Ci sono voluti quattro anni perché qualcuno si accorgesse di loro e provvedesse a farli conoscere, se non altro rendendo nuovamente disponibili i loro album. Nella fattispecie, la tedesca Prophecy si è presa la briga di ristampare il loro catalogo, di cui Wildwood (qui in un indovinato abbinamento con The Nightside) rimane a oggi il capito centrale e più rappresentativo.
I 1476 ruotano attorno alla figura di Robb Kavijan, cantante, chitarrista e principale ispiratore delle tematiche affrontate dalla band, che lui stesso riassume in “misanthropy, animals, obsidian mirrors”, declinate secondo un art-rock di stampo piuttosto classico e dai toni gotici decisamente accattivanti.
Wildwood è una sorta di concept che analizza l’animo umano in tutti le sue sfaccettature, focalizzandosi sulla tendenza dell’uomo moderno a reprimere i propri istinti. I testi, a partire dal titolo, rivelano spesso un legame con la natura incontaminata, reso attraverso un suono complesso e stratificato, ma sempre molto fisico e “tangibile”, fatto di strumenti acustici, tastiere atmosferiche e percussioni tribali che convivono bene con chitarre distorte e cavalcate di stampo quasi metal. La voce di Kavijan ci accompagna senza cedimenti lungo dieci pezzi molto vari ma sempre evocativi, caratterizzati da inesorabili crescendo (l’iniziale “Black Cross/Death Rune”) e linee melodiche spesso irresistibili, come nella splendida “Good Moring Blackbird” o nella lunga e trascinante The Golden Alchemy.
The Nightside è un ep di soli quattro brani dai toni raccolti, scritti e registrati durante le session per l’album, i cui venti minuti sono ancora più evocativi nel loro dipanarsi tra le percussioni solenni della bellissima “Mutable : Cardinal” (che mi ha fatto tornare alla mente certe cose dei Grant Lee Buffalo), l’incedere desertico di “Know Thyself, Dandy” (vicina ai leggendari Gun Club di “Mother Of Earth”) e una versione acustica e ancora più bella di “Good Morning Blackbird”. È così che The Nightside raggiunge quella compiutezza e quel senso di omogeneità che un po’ manca all’album, durante il quale ogni tanto si fatica a tenere a bada una certa tendenza all’eccessiva enfasi.
Lavoro di livello assoluto, da ascoltare senza esitazioni, per scoprire uno dei segreti meglio custoditi del sottobosco americano, e magari approfondire gli altri episodi di una discografia molto interessante.