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XIU XIU, Always

Always

Yin e Yang.

Il ritorno di Jamie Stewart è ancora una volta l’occasione per fare un viaggio nelle sue vicissitudini di essere umano. Non solo, anche in quelle di artista che ha letteralmente coniato uno stile, ad esempio grazie a quei pattern ritmici curati, sbilenchi e sempre forieri di novità o a quella timbrica che tanto deve al Mark Hollis dei Talk Talk. La differenza, come da copione, sta tutta nella resa vocale, che qui è sempre articolata (meno ansiogena del solito, forse) anche se poi un certo grado di assuefazione ci pervade comunque e ci porta a un piacevolissimo “tedio”. Proviamo a spiegare: “Hi” è una sorta di incontro/scontro nevrotico, con quella coda finale che neanche gli Human League più sadici saprebbero offrire ai loro adepti. Dunque avanti tutta con filamenti dark-wave, elettronica cheap (en passant, l’ultimo Prurient gli è affine in più di qualche atmosfera) e pennellate chitarristiche mai troppo invadenti. Un marchio di fabbrica, insomma. Teniamo poi bene a mente il manuale Cencelli di democristiana memoria e continuiamo la disamina affrontando le tempeste emotive di “Black Drum Machine”, pezzo notevole dove il nostro “confessa e si mette a nudo”, accompagnato da note di chitarra spurie e violoncello languido: quasi un pezzo in modalità stream of consciousness, che cattura e porta con tutta evidenza il discorso in un territorio free form, tanto che sottotraccia lascia presagire più che probabili nuove direzioni per l’autore di gemme rare come A Promise e Fabulous Muscles. Nel frattempo ci sono le interruzioni e i balbettii di “Gul Mudin”, la piagnucolosa “Factory Girl”, dove sembra di ascoltare un’attrice di un film di Warhol che si confessa davanti allo specchio, e “Honey Suckle”, un delicato ricamo e un ricordo in modalità “depressiva”. La materia c’è tutta, come avrete capito, ed è distribuita con mestiere in tutto il lavoro; solo che mancano alcuni ingredienti di contorno. Il pasto è il solito, cotto a puntino, ma non si sente quel pizzico di sapore in più che ce lo faccia preferire alle vecchie pietanze. In questo paradosso apprezziamo lo stesso, sia chiaro, ma rimandiamo il tutto a nuove e magari più stimolanti prove soliste, chissà che il gioco all’improvviso non cambi.

Tracklist

01. Hi
02. Joey’s Song
03. Beauty Towne
04. Honey Suckle
05. I Luv Abortion
06. The Oldness
07. Chimneys Afire
08. Gul Mudin
09. Born To Suffer
10. Factory Girl
11. Smear The Queer
12. Black Drum Machine