PETER BRÖTZMANN / HEATHER LEIGH, Ears Are Filled With Wonder
La figura di Brötzmann ha sempre sollevato un certo interesse anche al di fuori della scena impro / free jazz a cui formalmente appartiene. Vuoi per l’aura ormai leggendaria che circonda quel Machine Gun del ’68, con la sua inaspettata carica di violenza sonora capace di generare entusiasmi anche nei cultori della musica “estrema” in senso lato, vuoi per un prolifico eclettismo che l’ha portato a sperimentare forme musicali diverse e un gran numero di collaborazioni con personaggi di difficile catalogazione. Come Heather Leigh, per esempio, musicista americana trapiantata in Scozia (ne parliamo qui e qui) con all’attivo numerose uscite che negli ultimi anni sta vivendo un’impennata di popolarità col suo atipico approccio al suo strumento d’adozione, la pedal steel guitar, e che ha accompagnato proprio Brötzmann in tour.
Ears Are Filled With Wonder, registrato live a Cracovia nel Novembre del 2015 e pubblicato l’anno seguente dalla Not Two Records, è costituito da un singolo pezzo di ventotto minuti di fluente e deciso confronto tra la pedal steel guitar della Leigh e i fiati del venerando jazzista. Un’unica sessione senza pause che si apre con il grido prolungato, acre, rauco del tárogáto (uno strumento a fiato della tradizione ungherese), che modula una sorta di aspra e travagliata invettiva, resa ancora più vivida per contrasto dall’ingresso delle parti dell’americana, che nella loro risonante fissità fanno da texture di base agli svolazzi bruschi e ai picchi dello strumento a fiato. Più volte nel fluire del pezzo viene usata questa disposizione, con i fiati a dare dinamismo e drammaticità e lo strumento a corda a dare quasi un senso spaziale all’intero frangente, salvo poi lanciarsi in momenti più dialogici con il sax espandendo o riformulando la tessitura melodica. L’empatia tra i due pare dotare il lavoro di un respiro proprio, alternando picchi di concitazione straziata, sulla falsariga della prima fase, a trame rarefatte e fraseggi di sassofono o di clarinetto più meditativi, quasi venati in alcune sezioni di un blues umbratile. Il risultato è una conversazione che stupisce per un’immediatezza non comune in ambito free, e che soprattutto pulsa di un lirismo tanto vivido quanto emozionante.