NAGA, HĒN
HĒN, il principio divino secondo gli antichi greci, è il classico fulmine a ciel sereno, il disco che riesce a rimettere tutto in discussione al giro di boa di un 2014 particolarmente ricco di soddisfazioni in campo musicale. L’album dei Naga riesce a fondere insieme il meglio delle attuali scene doom e postcore, con in più un’aura misteriosa e una solida deriva sperimentale che apre la porta a infiltrazioni altre all’interno di una formula sonora in cui pathos e padronanza dei propri mezzi, nonché della materia trattata, rimettono in gioco sonorità che i più potrebbero ritenere ormai arrivate allo stato dell’arte. Difficile riuscire a descrivere a parole la forza d’urto di brani come l’opener “Naas”, in fondo semplice cozzare di metal “downtempo” dal tiro apocalittico e malinconiche vibrazioni doom, eppure perfetto nel descrivere un percorso affascinante e ricco di sfumature, figlio di tanti padri eppure in grado di stare in piedi da solo senza bisogno di fare analisi del dna più o meno accademiche. HĒN è un disco che affascina e colpisce nel segno, non necessita di stampelle, né tanto meno deve giustificare il proprio amore per le contaminazioni in salsa oscura, affianca chitarre distorte ed aperture eteree, lunghe cavalcate oniriche e cupe discese negli inferi, prende per mano i Neurosis e li tuffa nel doom metal (sottolineando il metal), quadra un cerchio che per altri è mera giustapposizione e cesella le linee di saldatura affinché diventino anch’esse parte del tutto e non semplici cuciture degne del Frankenstein di turno. La cura con cui l’insieme è confezionato non offrirebbe, del resto, alcun valore aggiunto se non si ponesse al servizio della carica emotiva che accompagna le cinque composizioni, all’apparenza crudi atti d’accusa conto la fallibilità umana privi di compassione alcuna, eppure – sotto la superficie – ricche di quella stessa umanità che sembrano voler negare. Il climax arriva esattamente a metà corsa, quando “Eris” supera la sua metà e la follia dei Naga esplode in una cavalcata che finisce in catarsi tra feedback e suoni lancinanti, come un vaso di Pandora da cui scaturiscono tutte le anime della band. Inutile far finta che questo disco non ci abbia conquistati senza se e senza ma, inutile andare a cercare il pelo nell’uovo tirando in ballo i soliti nomi scomodi, qualche etichetta che semplifichi la vita dei lettori o aggiungere che James Plotkin ha già messo la sua firma sul mastering. Il Bandcamp offre il tutto in streaming, tanto vale verificare da soli…