NADJA, Aidan Baker
Sono passati un po’ di anni da quando i Nadja si sono affermati, quindi il grosso del pubblico potenziale conosce il loro mix di ambient, shoegaze e doom, e sa dei paragoni fatti con Godflesh e Jesu. Con l’ultimo disco, invece, pur mantenendo la loro identità, hanno cambiato un po’ le carte in tavola, tirando fuori dal mazzo il noise-rock anni Novanta, degnamente rappresentato poi da Mac McNeilly. Anche loro, involontariamente, avvallano la nostra teoria che dopo un infinito revival Ottanta qualcuno sia andato pure a pescare nel decennio successivo. In ogni caso, date per note le somiglianze principali, e nonostante Aidan abbia raccontato come imposta il suo strumento per ottenere il sound così caratterizzato dei Nadja, siamo finiti a parlare soprattutto dell’ultimo lavoro, soffermandoci su qualche “chicca” del passato e su di un paio di collaborazioni eccellenti, dischi che andrebbero recuperati se nel flusso continuo fossero scorsi sotto i vostri occhi senza che aveste la possibilità di accorgervene.
Originally from Toronto, Canada, Nadja is currently based in Berlin, Germany. Ci dite perché? Poco tempo fa ho intervistato Mika Vainio (Pan Sonic): si è trasferito dalla Finlandia a Berlino e tanti musicisti non-tedeschi hanno fatto lo stesso. Come mai?
Aidan Baker: Anche se gode della reputazione di centro artistico – e lo è, fino a un certo punto – Berlino attrae la maggior parte dei musicisti perché vivere qui è facile. Affitti e costo della vita sono bassi e la posizione centrale in Europa è un buon punto di partenza per viaggiare. Noi che siamo Nordamericani abbiamo molte più opportunità di suonare e andare in tour, più di quante ne avessimo a Toronto, la nostra città. Girare per Stati Uniti e Canada è molto più difficile che farlo in Europa.
Cercherò di fare del mio meglio per presentare i Nadja ai miei lettori. Voi invece volete fare i convenevoli per il signor Mac McNeilly, batterista dei Jesus Lizard? Perché (e come) c’è lui nel vostro nuovo disco? Avevate un batterista “umano” anche in Desire In Uneasiness…
Le canzone su Dagdrøm esistevano già da qualche anno, ma a noi pareva che la struttura e il “feeling” di questi pezzi richiedessero quel qualcosa di organico, un batterista in carne e ossa al posto della solita drum machine. David Sims, il bassista dei Jesus Lizard, col quale ho fatto un tour nel2010, mi ha messo in contatto con Mac, chiedendogli di suonare nel mio album solista The Spectrum Of Distraction. Quando gliel’ho visto fare così prontamente e con entusiasmo, gli ho domandato se gli sarebbe piaciuto lavorare pure su un album dei Nadja. Però, mentre in Desire In Uneasiness Jakob Thiesen era con noi, non abbiamo mai incontrato Mac di persona e il tutto è avvenuto scambiando file.
Avete curato una mixtape per Cvlt Nation, webmagazine americano che noi conosciamo bene. Iniziate con Jesus Lizard e Big Black, quindi la mia domanda non può che essere: quanto il noise-rock ha influenzato Dagdrøm?
Sono cresciuto ascoltando il noise-rock di Big Black e Jesus Lizard, quindi loro sono davvero una grossa parte della mia sensibilità musicale. Nonostante l’estetica del noise rock fosse in qualche modo sempre parte del nostro sound, non avevamo ancora scritto dei pezzi che possedessero uno stile e una struttura più rock.
Mi è piaciuto molto l’inizio di “One Sense Alone”. Dove hai trovato quel riff?
Non te lo so dire… stava da anni nella mia testa…
Avete fatto subito il tutto esaurito con i cosiddetti pre-order dell’edizione speciale di Dagdrøm. Pubblicate molti dischi, ma la gente ama tutto quello che fate. Com’è il vostro rapporto coi fan?
Siccome siamo una band prolifica, di sicuro attraiamo fan con la mentalità da collezionisti, gente che sente il bisogno di possedere tutto quello che pubblichiamo. Se sia qualcosa di buono o meno se ne può discutere, per esempio si può cercare di capire se sia una questione di sentire la musica o solo di avere l’oggetto fisico. Quel che è certo è che apprezziamo il supporto dei nostri fan che comprano regolarmente i nostri album.
Avete fatto cover di due delle mie canzoni preferite della mia band preferita: “One Hundred Years” e “Faith”. Vorrei sapere il vostro rapporto con questi pezzi sia come ascoltatori sia come persone.
I Cure erano famosi quand’ero teen-ager, ma non li ho mai davvero ascoltati in quel periodo. Sto parlando di quando era uscito Disintegration: anche se ora lo apprezzo, all’epoca non mi prendeva. Però quando ho sentito per la prima volta Pornography e Faith, un po’ di tempo dopo, ho capito cosa mi stavo perdendo nel considerare poco i Cure. Quelli erano album bui, crudi, che mi attraevano molto più del lirismo lussureggiante di quelli successivi.
Un paradosso: dalle vostre cover ho capito quanto personale sia il vostro sound di chitarra, perché ogni pezzo prende la vostra impronta. Come l’avete sviluppato? Avevate un’idea iniziale o è qualcosa di istintivo per voi?
Ho sempre amato la distorsione: la grinta, il sustain, le armoniche “boostate”. Il mio primo effetto a pedale è stato un overdrive, seguito poi da un chorus. Quindi il suono di chitarra sporco e distorto tipico dell’overdrive è certamente alla base di quello che faccio, anche se è cambiato, si è sviluppato o evoluto nel corso degli anni.
Dopo anni (mi sento stupido) ho realizzato quanti alberi ci siano nelle vostre copertine. Ci potete dire il motivo?
Una pura coincidenza! Abbiamo sul serio cercato scientemente di evitare alberi nelle nostre copertine, dicendo ai grafici di non usarli e non usandoli noi stessi, dato che come immagine sembra proprio inflazionata…
Aidan, ritengo molto buona la tua collaborazione con Tim Hecker. Nel frattempo Tim è diventato sempre più famoso e qui in Italia ha ricevuto il plauso della critica, con molti musicisti elettronici italiani che lo indicano come un’influenza. Possiamo avere il tuo punto di vista privilegiato su di lui?
Mi piace il suo lavoro e di sicuro sento un’affinità con la sua musica (ricambiato), anche se creiamo i nostri suoni in maniera parecchio diversa. Estetica condivisa, metodologia differente.
Va bene Hecker, ma niente può battere Pyramids With Nadja: malinconia e fragilità, amore al primo ascolto per me. Splendida copertina (di nuovo alberi!), tanta gente coinvolta… qual è stato il vostro ruolo e che cosa sentite quando pensate a quel disco?
Il nostro contributo è giunto ai primi vagiti dell’album, e si trattava di tracce ambient drone, davvero il punto di partenza del disco. Abbiamo poi passato la palla ai Pyramids e ai vari ospiti, che hanno aggiunto i loro, di contributi. Così l’album è cresciuto ed è cambiato considerevolmente rispetto ai nostri semplici spunti iniziali. Come con ogni collaborazione, è sempre interessante vedere come i nostri suoni s’evolvano e mutino una volta manipolati da altri. Le collaborazioni più soddisfacenti sono quelle che appunto raggiungono evoluzioni inaspettate, ottenendo suoni che noi non avremmo mai né fatto né sentito.
Ultima: siete passati in Italia ormai più di una volta. I vostri ricordi…
Ci è sempre piaciuto visitare l’Italia e suonarci. Ogni tanto l’organizzazione e la logistica sono febbrili e caotiche, però le risposte positive – il feedback – del pubblico ripaga tutto.