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MESHUGGAH, Koloss

Koloss

La classe non è acqua.

Tornano gli indiscussi campioni di credibilità (e di vendite) del variegato panorama heavy europeo da ormai molti anni, e lo fanno con un disco potentissimo e convincente nella sua interezza. Operazione complessa, tanto più se si tiene conto dello svantaggio di dover pubblicare il seguito dell’acclamato Obzen (2008). Sia chiaro, parliamo di una band che la svolta vera e propria al death/post-thrash più tecnico l’ha data nel lontano ’95 con Destroy Erase Improve, forte di un amalgama micidiale di jazz-fusion, dissonanze industrial, poliritmie assortite e chitarre downtuned a otto corde: una formula ormai nota ai più, tuttavia ancora consona a pochissimi. Con questo Koloss, i Meshuggah fanno ciò che ci si aspetta da un gruppo le cui peculiarità sono così caratterizzanti da rischiare l’ossificazione a ogni disco, e lo fanno al meglio: rimodellare la loro materia rinvigorendola, con una sapiente dosatura di novità e riprese, sbaragliando al contempo la pletora di cloni djent e metalcore che infestano l’universo, con la suprema indifferenza del leviatano che ispira il concept dell’album. Non te l’aspetti lo sludge che apre le danze con “I Am Colossus”, tutta “chugga guitars” e vocals al vetriolo di Kidman, ma subito dopo “The Demon’s Name Is Surveillance” accelera e travolge col drumming furioso e ultrachirurgico che è il marchio di fabbrica che non può mancare, e che più rimanda alle origini death della loro storia. A “Do Not Look Down” spetta poi il compito di evocare il lavoro di Danny Carey dei Tool (in più riprese loro compagni di palco negli Stati Uniti) alle pelli, con Thordendal a puntellare fusion. In ultima istanza è forse proprio quel loro senso del groove, nella sua particolare articolazione meccanica, e di solito assente in territori affini, la chiave di volta di Koloss: “Break Those Bones Whose Sinews Gave It Motion” e “Demiurge” sono esemplari in tal senso. A chiudere il disco dopo 50 minuti giunge la sospesa “The Last Vigil”, ambient per arpeggi in camera iperbarica.

Ottimo colpo per i Meshuggah, dopo tutta l’acqua che è passata e i ponti ormai caduti: paradigmatici, alla destra degli Slayer.

Tracklist 

01. I Am Colossus
02. The Demon’s Name Is Surveillance
03. Do Not Look Down
04. Behind The Sun
05. The Hurt That Finds You First
06. Marrow
07. Break Those Bones Whose Sinews Gave It Motion
08. Swarm
09. Demiurge
10. The Last Vigil