MAURIZIO ABATE, Loneliness, Desire And Revenge
Dopo le registrazioni quasi del tutto in solitaria del precedente e più elettrico A Way To Nowhere, è la volta di questo lavoro ancor più meditabondo e incline alla malinconia. Loneliness, Desire And Revenge (sembra quasi il titolo di un western) si beve tutta d’un fiato la mai sopita passione per John Fahey, ispiratore di questa manciata di composizioni acustiche: tempo fa Abate portò in giro un documentario a lui dedicato (In Search Of Blind Joe Death: The Saga Of John Fahey) e ora prova, riuscendoci, a rinverdire quei fasti legati ai migliori e più creativi Sessanta e Settanta, con una sensibilità però tutta metropolitana. Già l’apertura di “In My Heart For A While” è un folk accorato, capace di far sciogliere anche il più duro degli ascoltatori: con quell’armonica in lontananza il musicista lombardo azzecca proprio l’atmosfera giusta. È tutto il disco, comunque, a conservare un’aura tra il mistico (la melodia cristallina di “Once Upon A Time”) e il terreno: in “A Safe Place”, ad esempio, pare quasi di scorrere le immagini de “I Cancelli del Cielo” di Michael Cimino (la cui colonna sonora era di David Mansfield, fidato collaboratore del regista). “No More Prohibited Games”, poi, è particolarmente struggente, a sottolineare la forte propensione di Abate per la costruzione di ambienti sonori dal tocco intimistico e bucolico, seppur idealmente affacciato a una finestra dalla quale si intravedono solo automobili e lampioni (la virulenza acustica di “Sweet Motherfucker Blues” è un’altra prova di quanto vado scrivendo). La “poesia” si può nascondere ovunque, insomma, e qui ce n’è davvero tanta e dal sicuro effetto abbacinante.