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MARE DI DIRAC, Fumes

Fumes, nuovo album dei Mare Di Dirac, si presenta come un flusso sonoro dal forte sapore rituale, un viaggio dai tratti onirici dato dall’interazione di input noise/ambient e percussioni. Si potrebbe parlare di una vera e propria cerimonia, nel corso della quale uno sciamano cerca di far superare i confini dell’esperienza quotidiana fino all’abbandono delle normali percezioni e al raggiungimento di uno stato ai confini tra la veglia e il sonno. Tra campane tibetane, didgeridoo e pulsioni drone, con Fumes i tre musicisti – spina dorsale di un progetto che loro stessi considerano aperto a collaborazioni esterne – attraverso strumenti, manipolazioni e field recordings mettono in scena un complesso sistema sonoro al cui interno l’elemento liquido ricopre un ruolo fondamentale. Per apprezzare appieno questa via di mezzo tra un percorso iniziatico e un trip psichedelico bisogna essere anzitutto predisposti a lasciarsi condurre dai suoni lungo le traiettorie disegnate dai musicisti, per poi rendersi conto di come tutti i tasselli vadano a incastrarsi con gli altri e le dichiarazioni rilasciate (“questa è un’esperienza psicoattiva”) non siano i soliti proclami da imbonitori, bensì rispecchino appieno volontà e metodologie di un lavoro a dir poco intrigante. Non è, come noto, il primo disco a muoversi da queste parti, né qualcuno si ripromette di scardinare chissà quali schemi espressivi, ma si avvertono in modo chiaro una coesione e una capacità di mettere a fuoco i propri obbiettivi che non sempre si ritrovano nel genere, merito anche di una scelta particolarmente felice a livello di suoni e combinazioni tra gli stessi. Insomma, Fumes non è di facile assimilazione e non si può affrontare in modo distratto, è uno spunto interessante a cui vale la pena dedicare il proprio tempo e a cui abbandonarsi come se ci si immergesse nella vasca di deprivazione sensoriale resa famosa dal film “Altered States” (da noi “Stati Di Allucinazione”).