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KRENG, The Summoner

KRENG, The Summoner

Il senso di perdita d’equilibrio che dà apprendere della morte di una persona cara, l’accumulo disordinato di dolori e pensieri, anche a seconda di chi è e di come è scomparso. Quel buio pesto, sconfortante, nel quale si sprofonda. “Questa volta non mi rialzo, no”. Le scariche di adrenalina sul cuore. Tutto il dopo, il farsene una ragione, forse un pianto liberatorio e forse l’arrivo di un’energia squarciante che ci rimette in moto.

Come fecero i Portishead per il loro secondo disco, Pepijn Caudron (Kreng) si è “prefabbricato” i campionamenti, coinvolgendo musicisti reali, che esercitassero violenza sui loro strumenti ad arco, di modo da far da colonna sonora al suo vivere un lutto. Come Reed o Walker, chiama a sé anche una band “pesante”, gli Amenra, e le assegna un ruolo abbastanza preciso, senza troppe seghe mentali, perché in sostanza sembra quello di simboleggiare lo spurgo definitivo. The Summoner gira intorno all’esplosione fantasmagorica di questa band: venti-trenta minuti di scavo nel profondo assieme agli “orchestrali”, tesi, disturbanti, come passati in un luogo enorme e vuoto, poi comincia a prendere piede la chitarra elettrica ed ecco il grido devastato di Colin van Eeckhout (grandissimo), infine brevi titoli di coda, di nuovo prossimi alla classica, più sereni e – immagino – pacificati. Una costruzione semplice e comprensibile, ma cesellata e toccante. Disco da avere.

Tracklist

01. Denial
02. Anger
03. Bargaining
04. Depression
05. The Summoning
06. Acceptance