ETERNAL ZIO
Vera cooperazione nel rispondere alle mie curiosità, quella dei misteriosi Eternal Zio. I quattro si dimostrano persone disponibili e con le idee chiare, meglio così. Ascoltando la loro musica si viene catturati da cortine fumogene spesso ottundenti e da voglia di piedi scalzi e riti magici. Va da sé che è proprio questo loro essere anacronistici che li salva dalle mode e dalle brutture musicali del mondo d’oggi. Gli Eternal Zio ne hanno uno tutto loro, di mondo, che alimentano e poi provano a far conoscere col loro linguaggio particolare. Dopo la lettura di questa spassosa chiacchierata via mail, però, correte subito a cercare il disco. Lo avevamo già scritto nella recensione e torniamo a ribadirlo: il nuovo lavoro vale, e parecchio.
Devo confessare che quando lessi il vostro nome rimasi piuttosto interdetto, mi chiesi che roba fosse, poi dopo l’ascolto capii che mi poteva piacere, d’altronde se uno come Onga s’era preso la briga di pubblicare il vostro disco un motivo (o più di uno) ci doveva essere… Siete in quattro, vero? mi raccontate un po’ chi siete e come è nato il gruppo?
Valla: Sì, esatto, siamo in quattro: io, Raubaus, Rella e Maurizio Abate. Negli ultimi anni abbiamo suonato assieme in varie formazioni e sotto varie sigle tra cui Rella The Woodcutter, Asabikeshiin, Progetto Nekton, Superjoint Varedo All Stars Volume 2. Nel dicembre del 2010 nasce una prima versione chiamata Eternal Trio, io mi sono unito alla brigata un mese dopo. Ed ecco Eternal Zio.
Una sponda alla domanda precedente: quali sono le finalità di Ca’ Blasè e come si gestisce un posto particolare come quello?
Valla: Beh, per prima cosa a Ca’ Blasè ci si vive. Tre di noi (adesso due) hanno deciso di andare a vivere assieme e col tempo quel posto è diventato un po’ la nostra casa lontano da casa (a parte per chi ci vive, ovvio). A quel punto è venuto abbastanza naturale aprire il posto a concerti, dare ospitalità ai derelitti, sfamare gli affamati, abbeverare gli alcolisti, drogarsi come scimmie… detto questo, la parola “gestire” è abbastanza fuori luogo.
Raubaus: Sì, è casa nostra, con tutte le caratteristiche di una casa, forse un po’ più aperta della media. Per quanto riguarda i concerti non abbiamo alcuna programmazione, li si fa in modo totalmente irregolare: se qualcuno ci piace e ci stiamo dentro quel tal giorno, buttiamo su la serata. La differenza la fanno le persone che vengono a Blasè: senza di loro non avrebbe senso.
In sede di recensione ho fatto un parallelo col Parco Lambro, alludevo a una certa atmosfera che si respirava in quei concerti tenutisi lì più di tre decenni fa (era la fine Settanta su per giù). Cosa ne pensate di quel periodo e cosa è rimasto secondo voi, a livello artistico ma anche ideologico, ora?
Valla: Mi sa che siamo troppo giovani (almeno anagraficamente) per avere esperienza diretta di quel periodo.
Raubaus: Sì, siamo troppo giovani, però da quello che ho letto, visto e sentito, mi pare di capire che una delle cose che c’era allora e non c’è oggi era la dimensione di massa: nella musica, nella politica, nell’arte in generale. Oggi tutto è una nicchia della nicchia, che si auto-alimenta e auto-compiace nella (della) propria nicchia. E che quindi tende alla conservazione e al conformismo. In quegli anni la sperimentazione era massima, oggi invece è ai minimi. Non a caso si campa ciclicamente di revival. Sulla festa di Parco Lambro ’76… beh ci saremmo visti Gianfranco Manfredi e Don Cherry in un colpo solo, non male. Quella festa è considerata un po’ l’apice della creatività sovversiva post-sessantottina e post figli dei fiori, dove ancora droghe e amore libero la facevano da padroni, o no? L’ultima festa del ‘68 creativo, la prima del ‘77 violento.
Come riuscite a coordinare i vostri singoli progetti con Eternal Zio? Vedo che quasi tutti voi avete pubblicato dischi in solitaria.
Valla: Non è un gran problema, quando riusciamo ad incontrarci per suonare od organizzare date e tour Eternal Zio vive, altrimenti riposa, sempre pronto a risvegliarsi.
Il vostro è un modo di comporre musica che sembra piuttosto spartano (che non fa rima con semplicistico, sia chiaro). Vi piace usare solo gli strumenti necessari, insomma, senza perdervi in inutili istanze cervellotiche usando la giusta concentrazione, mi pare di capire…
Valla: … in parte sì. Diciamo che non ci poniamo molte limitazioni, suoniamo quello che ci passa per la testa (che non vuol dire a caso), usiamo gli strumenti che pensiamo possano aggiungere qualcosa, sia in termini di sound sia nel caratterizzare al meglio le atmosfere che andiamo creando. A nostro parere non si tratta di comporre, ma di incastrare i singoli elementi fino a raggiungere… ma che cazzo sto dicendo?!? Si può dire che lo sappiamo fare ma non verbalizzare.
Maurizio Abate: Diciamo che il concetto di composizione classica nel nostro caso non è molto calzante, fondamentalmente improvvisiamo su canovacci che si vanno a definire nel tempo, mentre il resto, le dinamiche interne, il come sviluppare idee o spunti, lasciamo che prenda forma durante l’esecuzione. Di base ognuno sceglie lo strumento che preferisce suonare in un determinato periodo e si cerca di capire quali incastri possono funzionare e quali meno, cerchiamo di non utilizzare troppa effettistica e di non calcare la mano con “l’elettronica”, ci interessa mantenere un approccio fisico e giocoso con i nostri strumenti.
Quali sono le connessioni che avete con altri musicisti/gruppi italiani? Vi piace frequentarli o preferite starvene in disparte?
Maurizio Abate: Se per carattere tendiamo a starcene per i fatti nostri, capita di instaurare rapporti di amicizia o frequentazione con chi si incontra per strada, ultimamente abbiamo avuto il piacere di conoscere le persone dietro i progetti musicali How Much Wood Would A Woodchuck Chuck If A Woodchuck Could Chuck Wood, BeMyDelay (Marcella Riccardi), IOIOI, Above The Tree, Al Doum And The Faryds. Ultimamente ho partecipato alle registrazioni dell’ultimo disco di BeMyDelay, e abbiamo iniziato anche a presentarci dal vivo come duo; altro lavoro interessante a cui ho partecipato, solamente come fonico, è stato il disco d’esordio su Black Sweat Records di BAXAMAXAM, un duo percussioni e chitarra italo-senegalese di Faenza che spacca.
Raubaus: Sento più legami di amicizia che musicali con i gruppi/musicisti che ho incrociato negli ultimi anni.
Avete pensato ad una formula di live da proporre in giro? Ci sono già nuove date in programma?
Valla: A dire il vero ancora no, il disco è nato da varie sessioni di registrazione con modalità difficilmente riproducibili in un live, quindi qualcosa ci dovremo inventare. Abbiamo in programma un tour europeo per metà aprile, prima di allora abbiamo una manciata di date sparse per l’Italia.
Come passate la vostra vita oltre il gruppo? Avete altri lavori, vivete tutti assieme o cos’altro?
Valla: Come dicevamo prima, due di noi vivono insieme a Ca’ Blasè, per il resto, come potrai immaginare, tocca campare, quindi abbiamo lavori, secondi lavori, terzi lavori, fidanzate, bambini…
Mi piacerebbe sapere quali sono i rispettivi artisti preferiti, e perché li apprezzate.
Maurizio Abate: Ne dico uno solo: John Fahey, per la capacità di portarmi altrove, per la sua testardaggine nell’imporre un sound personalissimo e per la sua interessante parabola artistica, con i suoi picchi ed i suoi bei dischi inutili. Molte persone lo snobbano perché negli ultimi 10-15 anni se ne è parlato fin troppo e dappertutto, ma ciò non toglie che rimane unico ed irripetibile.
Raubaus: Ne dico uno solo anche io allora: Nirvana, perché mi hanno cambiato la vita.
Valla: Io dico Bruce Springsteen, perché lo ascolto da tutta la vita e anche se l’influenza musicale si sente poco, ormai lo considero una specie di compagno di viaggio e uno specchio per quello che sto cercando di fare con la musica.
Rella: Ultimamente sono ossessionato dai 13th Floor Elevators e The Incredible String Band. Per la gioia dei miei coinquilini.
Un consiglio (di vita, musicale, quello che volete voi…) da dare ai lettori di New Noise.
Valla: Comprate un bel tappeto. O rubatelo.
Rella: Rubatelo.
Maurizio Abate: Rella rivoglio il mio tappeto, stai all’occhio!