AV-K, Fracture
AV-K è Anacleto Vitolo, trentenne campano che – leggo – ha iniziato come dj nel mondo hip hop e che poi si dev’essere mosso su altri terreni all’incirca contigui, passando per le cose più storte del suo genere d’origine e finendo per assorbire influenze diverse dalla musica elettronica. Il miglior pregio di Vitolo è il suo eclettismo, il peggior difetto è… il suo eclettismo, basta mettere vicino a Fracture l’altro album che ha pubblicato quest’anno per Laverna (A Centripetal Fugue), più rarefatto e d’atmosfera. Se uno prende pezzi come “Drag” e “1114”, può pensare a un tipo di operazione simile a quella di Ben Frost nel suo ultimo disco, anche perché in “Drag” c’è un battito quasi techno a spingere avanti una massa di suono che ricorda molto un paio di cose di A U R O R A. Se invece si ascoltano altri brani (ottimo quello d’apertura, semplice e imponente), si vede come Anacleto salti da glitch e “autechrerie” a un battito più industrial, ma anche a soluzioni del tutto inaspettate, come quel frangente sostenuto di “We”, che sembra preso pari pari da Quique dei Seefeel. Di sicuro, come suggerisce la copertina, Fracture è in qualche modo uniforme, ma io personalmente avrei bisogno che AV-K mi parlasse con una sola voce a uscita, ben distinguibile. Questo, però, sono io. Alla luce dei consensi raccolti in giro, vi consiglio un paio di ascolti ponderati, non mi stupirei se vi piacesse.