AFTERHOURS, Padania
Padania non è un disco furbo, né compiacente. È chiaro già dal titolo del primo pezzo. Lo è ancora di più ascoltandolo, dati i temi ricorrenti e la voglia di prendersi dei rischi, esternata come un feroce e coraggioso lacerare e rimasticare un’identità musicale – dopo undici album – molto caratterizzata. Archi stridenti, attacchi di chitarra noise, Manuel che utilizza la voce come gli pare e meglio di come l’abbia mai usata, il sentore di uno stile che potrebbe essere descritto al primo impatto come un incrocio tra Area e il Battisti blues/rock. Rodrigo D’Erasmo è totale padrone di un violino oggi più elemento perturbante che lì a smussare gli angoli o ad addolcire l’aspro, mentre il ruolo di Giorgio Ciccarelli è enormemente cresciuto, data la sua quasi totale presenza anche per quanto riguarda la composizione. E poi, il ritorno di Xabier che, tra chitarre e i suoi strumenti made in Metak, è fondamentale per il clima generale. Del titolo e delle strutture tematiche del disco si è discusso tanto e, al solito, anche a sproposito. Certo, nel frattempo, come solo la vita sa orchestrare, l’attualità ha concretizzato quanto narrato nel singolo, il brano (splendido) più “dritto” del disco, assieme a “La Tempesta È In Arrivo”, sottotitolata Anastasia Romanov muore aggrappata alle tende. La prima, ballata Afterhours, è dolorosa e spietata per quanto lucida e perfetta nel descrivere i sentimenti che esplodono in ogni pezzo, la seconda possiede denso impatto rock ed è punto di raccordo con il recente passato. Il resto è contrasto fra melodia e destrutturazione: dove è la voce a scandire la prima, arrivano chitarre ed arrangiamenti a contrastarla e viceversa. Spiegare di cosa parli il disco, poi, è davvero molto personale. Si tratta di appartenenze, di fede in tramonti della ragione, di una generazione di persone che hanno badato a costruire l’edificio e si sono dimenticati di fornirgli l’impalcatura, di odio e amore quando la differenza tra questi non è poi così netta, del trionfo dell’io sul senso di comunità, che non si sa quale sia né se esista ancora. E il debole muore sempre, purtroppo, se non di più. Il disorientamento generale non dura molto però, complici pezzi d’alto livello: “Costruire Per Distruggere”, ballata decadente e oscura, “Messaggio Promozionale Numero 2” e la sua genialità sardonica, lo splendido blues dalla potenza noise “Ci Sarà Una Belle Luce”, caracollante e ubriaco con finale/bridge da fiume marcio in piena, l’istrionico e incazzatissimo “Io So Chi Sono”. E ancora il riffaccio duro come il marmo di “Fosforo E Blu” che rimanda a “Germi” o “Siete Proprio Dei Pulcini”, la dolce e gelida pausa di “Iceberg”, l’amarezza dei cuori che devono sanguinare per essere vivi di “Nostro Anche Se Ci Fa Male” e della conclusiva (e più chiara di così) “La Terra Promessa Si Scioglie Di Colpo”. Per metabolizzare tutto servono ascolti e amore, anche quell’amore che così facilmente abbiamo imparato a mercificare ogni giorno. Padania è l’esordio della casa discografica personale del gruppo, Germi, e quindi la sua prima autoproduzione, dopo essere stato protagonista di anni e anni del mondo del rock italico che ci piaceva chiamare alternativo. Se anche dopo tutto questo tempo i momenti in cui la commozione prende il sopravvento (eppur si smuove) ci sono ancora, significa che la capacità di toccare i fili scoperti delle nostre anime è viva e vivida e scatena il desiderio di vedere cosa ci sarà dopo. Nel frattempo, torniamo a sprecare vite.